Il “caso Suarez” specchio di un calcio che non educa alla vita

(di Marco Martone)

E’ ripreso a suon di gol e di parate, di strafalcioni sotto porta e di errori arbitrali. Il campionato di serie A è tornato, dopo la triste parentesi del lockdown e adesso prova anche a darsi una parvenza di normalità, con uno sparuto numero di spettatori ammessi sugli spalti. Ma non è questo il nostro calcio, non quello che abbiamo sempre amato, quello che ci ha trascinato con i suoi colori, i suoi cori e le sue infinite emozioni. La sensazione è che quello che stiamo vivendo sia una sorta di surrogato, cui diventa particolarmente difficile adattarsi. Gli stadi semivuoti, le voci dei protagonisti che si sentono attraverso il televisore, i gol senza boato e le curve senza bandiere, per un’atmosfera quasi surreale dell’intero spettacolo. Non è questo il calcio che può appassionare e può indurre a fare sogni.

E non può essere il nostro calcio quello che porta a trasgredire le regole, a scavalcare i più deboli, ad affermare la legge del più potente e non del più meritevole. E questa volta lo “scandalo” non viene urlato per un rigore non dato o per un fallo di mani in area ma per qualcosa di diverso e di molto più serio e grave.   

La questione Suarez e la presunta corruzione perpetrata con la collaborazione nientemeno che della Facoltà di Perugia, se accertata, rappresenta qualcosa di ben diverso da un fattore meramente sportivo. Un tunnel di fango e di vergogna dal quale sarà molto difficile uscire, sicuramente ci vorrà molto più tempo rispetto a quello necessario per vincere il Covid e ritornare al calcio di una volta. Una girandola di corruzione rispetto alla quale, probabilmente, il meno colpevole di tutti è proprio Suarez, il giocatore del Barcellona che in procinto di passare alla Juventus, ha sostenuto un esame farlocco all’Università di Perugia, per poter ottenere la cittadinanza italiana che gli avrebbe consentito di poter essere tesserato con la squadra campione d’Italia. Il giocatore uruguaiano è stato, come spesso capita ai divi del pallone, la pedina di uno scacchiere complesso e molto più grande di lui. Suarez gioca a calcio in definitiva, attività per la quale la conoscenza di una lingua non conta assolutamente nulla. Il diploma è simbolico, formale, inutile. Se fosse stato necessario saper guidare una barca a vela, per ipotesi, gli avrebbero regalato la patente nautica e sarebbe stata la stessa cosa. 

La truffa, o presunta tale, nasce dall’esigenza di aggirare una legge, quella che impone la conoscenza della nostra lingua per l’ottenimento della cittadinanza. E allora ecco il giochino tutti italiano del sotterfugio. Basta poco, in fondo, “convinci” i docenti a fare le domande prestabilite e il gioco è fatto. E se in giro per il mondo c’è chi attende da anni e con merito lo status di cittadino italiano, senza ottenerlo, importa poco. Problemi suoi. Il sacrificio al dio pallone era necessario, ancora una volta. E così si è tentato deliberatamente di aggirare una norma, che poco o nulla ha a che fare con la volontà di Suarez di ottenere la cittadinanza. E soltanto il caso ha voluto che dietro tutta questa storia di combine, di corrotti e di corruttori, ci fosse la società più discussa, sportivamente odiata e anche più ricca e potente. La Juventus. 

E qui diventa difficile poter esprimere un parere prescindendo dal fatto che nei confronti dei bianconeri ci sia, da parte di molti, una legittima avversione sportiva. Un odio calcistico che trovò la sua massima sublimazione con Calciopoli e con quella retrocessione a tavolino che sembrava fosse una scure contro le eterne ingiustizie di sempre. C’è sempre di mezzo la Juve quando qualcosa di “strano” accade attorno al mondo del calcio. Fu così anche per la storia del doping, mai chiarita del tutto. 

Eppure l’aspetto più triste di tutta la vicenda non è neanche legato al mondo dello sport. Quanto all’esempio che la Juventus, in questo caso, dà ai ragazzi, ai bambini soprattutto, a quelli che ancora credono nei valori dello sport e della vita. Quelli che si illudono che sul campo debba vincere chi merita di vincere e che magari, per essere promossi ad un esame, occorra studiare o quantomeno rispondere alle domande degli esaminatori. Forse un genitore dovrebbe porsi la domanda se valga o meno la pena lasciare che un figlio scelga di stare dalla parte di chi bara, inganna e non rispetta le regole. Dalla parte di chi pensa che per ottenere un risultato si possano utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, anche quelli non consentiti dalla legge. Non è solo un fatto di sport, è la vita.

*Pubblicato sul Golfo