di Marco Martone
Una frase breve, semplice e incisiva, che nella commedia di Scarpetta diventa un tormentone e che nel ricordo di tutti gli appassionati dei film di Totò è rimasta indelebile. “Vincenzo m’è pate a me!”. La battuta fu affidata ad un bambino di appena 8 anni, Franco Melidoni, oggi 77enne, uno dei pochi che può custodire ricordi legati al Principe della risata. Attore per un breve periodo della sua infanzia, Melidoni fu scelto per quel ruolo in “Miseria e nobiltà”, per ripetere in maniera ossessiva e anche un po’ impertinente quella frase diventata ormai famosa, almeno quanto il titolo della commedia. Peppeniello fu scelto da Mario Mattoli per interpretare il ruolo del figlio dei personaggi interpretati da Totò e dalla zia Giulia Melidoni, Bettina, la vera moglie di Felice Sciosciammocca, acerrima rivale di donna Luisella (Dolores Palumbo).
Una breve parentesi cinematografica che non ebbe seguito, se non in un anonimo film con Rita Pavone, “Non stuzzicate la zanzara”. La possibilità di recitare con Vittorio De Sica in Napoli milionaria e L’oro di Napoli, fu frenata dalla scelta dei genitori che preferirono che continuasse gli studi.
Abbiamo incontrato Peppeniello in occasione della celebrazione del 70esimo anniversario della canzone Malafemmena, scritta da Totò. «Quel film fu girato nel ‘54 sono passati un bel po’ di anni. Oggi quando si parla di Miseria e nobiltà e si fa riferimento al mio personaggio, c’è sempre chi si sorprende del fatto che sia ancora vivo. Ma perché quello campa ancora? Si chiedono…». All’epoca Franco aveva 8 anni, i ricordi sono sfocati ma il rapporto con il Principe resta chiaro nella mente. «Totò per me era un nonno. Durante la fase della lavorazione mi trattava come un nipote. Sempre molto affettuoso. Stavo sempre accanto a lui, lo seguivo ovunque. Aveva un atteggiamento protettivo». E non fu quella l’unica occasione di incontro con il grande attore. «È vero! Negli anni successivi lo rividi. Circa quattro anni più tardi. Era il periodo in cui a Cerignola girò il film “Gambe d’oro”. Poi l’ultimo incontro con lui, a Fiumicino. Era quasi cieco. Oggi la malattia che aveva agli occhi potrebbe essere curata ma all’epoca la medicina non lo consentiva».
Oggi Totò resta un punto di riferimento per tutti, vecchi e giovani.
«Totò è eterno e intramontabile. I suoi film si vedono sempre anche più volte. Io sono particolarmente legato al trittico delle commedie di Scarpetta, “Turco Napoletano”, “Il Medico dei pazzi“ e “Miseria e nobiltà”. Ma anche quelli con Aldo Fabrizi, come “Guardie e ladri”, poi “Totò Truffa” con la scena indimenticabile della vendita della fontana di Trevi. Oggi si direbbe che sono dei cult».
Torniamo a Peppeniello. Cosa porta dentro da quella esperienza?
«Il ricordo di un cast eccezionale e un aneddoto particolare. Quando io devo andare via di casa e scappare dal compare, il copione prevedeva che dovessi piangere ma non riuscivo a farlo per finta. Dolores Palumbo (Bettina) disse allora al regista che avrebbe risolto lei il problema. Mi prese in disparte e mi diede uno schiaffo così forte e tanti di quegli strattoni che piansi davvero».