Calcio italiano, una storia di gol e discriminazioni

di Fabio De Paulis

All’indomani della strameritata qualificazione ai gironi di Champions League del Napoli e di quella della Roma ai preliminari, il calcio italiano festeggia il titolo di capocannoniere di tutti i tempi. Gonzalo Higuain detto il pipita ha detronizzato il milanista Nordahl, mettendo a segno in questa stagione ben trentasei reti con un ultima, quella dell’acclamazione, indimenticabile perla. La Juventus ha vinto il suo quinto titolo consecutivo, ma questa non è una notizia come lo sarebbe l’ennesima fallimentare stagione delle milanesi. Ma di questo è vietato parlarne. Napoli e Roma oggi rappresentano l’unica possibile valida alternativa allo strapotere juventino, condotte fieramente da Higuain e Totti che ci riportano alla mente i trionfi passati del Napoli di Maradona e della Roma di Falcao. Oggi i media dovrebbero celebrare, esaltare, incoraggiare, IMMORTALARE, queste imprese che rappresentano un immagine comunque altamente positiva del calcio italiano nel mondo. Invece c’è poco o niente. Lo spazio di un week end. Allora un po’ per curiosità, un po’ per comprendere la scienza delle comunicazioni siamo andati a leggere come veniva celebrata la vittoria dello scudetto della Roma nel 1983. Gianni Mura scriveva su Repubblica, il quotidiano più venduto e quindi letto d’Italia, il 10 maggio del 1983: “Televisione e cinema hanno imposto l’immagine del romano,…un cocktail di Alberto Sordi e Alvaro Vitali.” Poi ancora: “…a chi viene da fuori resta difficile capire chi è romano davvero, nelle distinzioni fra generone e popolino, tra palazzinari e trasteverini…inciampare nelle varie facce di città santa, di città bagascia, papalina e popolana, i sette colli, le mille piaghe, il biondo Tevere…i circensi li hanno inventati qui…” Per poi delirare dicendo che…: “La Roma che vince lo scudetto non cancella l’immagine uso esterno di Roma: però la modifica parecchio.” Insomma un bel manifesto di discriminazione territoriale come diremmo oggi. E stiamo parlando di Roma capitale e la Roma del grande presidente Viola. Non andrà meglio in un altro 10 maggio, quello del 1987 col Napoli campione d’Italia dopo 60 anni di storia calcistica. Sempre su Repubblica, quindi quotidiano progressista a tiratura nazionale, scriveva Gianni Brera, abbandonandosi ad analisi sociologiche e storiche intrise del più becero antimeridionalismo, per spiegare il ritardo di Napoli e del Napoli a vincere l’agognato scudetto : “…Innanzi tutto, la natura tachipsichica e spesso labile della gente; le tare morfologiche accumulate in lunghi secoli, che dico?, millenni di fame…l’incultura, l’incompetenza, la scarsa educazione sportiva delle masse…Continuava sostenendo che : “i poveri non avevano sufficienti calorie per aggiungere l’agonismo al lavoro quotidiano…” ed ancora, sempre in stato di evidente delirio alcolico trattava di : “inferiorità complex” di vittimismo complicato da rabbie astruse…”,  e concludeva infine con : “l’ectoplasma Maradona etc. etc. etc.” Ora, se questa era Repubblica e questi sono stati e sono le principali firme che scrivono e hanno scritto, argomentando con luoghi comuni e odiosi pregiudizi del ritardo calcistico, quindi sociale, dell’Italia centro meridionale nei confronti del nord, come possiamo oggi sperare che l’odio, la discriminazione, l’antimeridionalismo strisciante vengano debellati, come cura all’ignoranza e al cretinismo diffusi ? Molti meridionali sono cascati nella rete della discriminazione, discriminando anch’essi, senza comprendere che: parlar male, offendere, insultare, ledere la dignità dei propri conterranei, approfittando anche dell’argomento calcio, non li rende affatto principi di Montecarlo, ma proditori di se stessi.