di Mariateresa Di Pastena
“Pulcinella, Zeza… e l’eredità di Parthenope” è il titolo intrigante e misterioso di una mostra (da sabato 17 marzo al 2 aprile nella chiesa San Biagio Maggiore, via S. Gregorio Armeno 35, Napoli, dalle 10 alle 18, tranne il lunedì) in cui l’antica maschera napoletana abbraccia il mito, dando vita a sculture suggestive ed eloquenti che raccontano e suscitano intense emozioni. Un sogno cullato a lungo, quello di Emilio De Cicco, noto scultore di arte presepiale e realizzatore di simboli scaramantici: nel suo laboratorio, “Anime di terracotta”, nascono vere e proprie opere d’arte. Da questa prima mostra personale, che ha trovato casa nel luogo in cui la creatività artistica si respira nell’aria, Emilio De Cicco si aspetta tantissimo. E già pregusta il momento in cui, sabato 17 alle ore 12, lo scrittore Maurizio De Giovanni, inaugurerà, con la sua preziosa presentazione, la vetrina delle sue ultime creazioni. Il segreto della sua arte sta nell’aver conservato la purezza d’animo di un fanciullo, che traspare dal suo viso solare, da ogni sua parola e, soprattutto, dal grande entusiasmo e dall’umiltà con cui racconta questa sua nuova esperienza, pur avendo già esposto con successo tante altre sue opere.
Emilio, come nascono l’idea di questa mostra ed il suo titolo?
Era già nei miei pensieri da diverso tempo, ma, per vari motivi, non ero ancora riuscito a realizzarla. Questo mi ha permesso di aggiungere, man mano, altri tasselli. Ho trasportato ed attualizzato l’antica maschera napoletana di Pulcinella in scene di vita quotidiana, aggiungendo qualche metafora che ora provo a spiegare, anche se l’arte è interpretazione soggettiva, pur contenendo dei messaggi precisi. Zeza, ovvero Lucrezia, è la moglie di Pulcinella e ho voluto rappresentarla spesso a seno nudo per simboleggiare non certo l’erotismo ma la mamma, intesa come origine della vita, ma, soprattutto, come rifugio per l’uomo, e in particolare per il popolo napoletano, nei momenti di debolezza che si hanno sia da bambino che da adulto. Però, allo stesso tempo, ci sono scene in cui, invece, simboleggia l’inganno, perché, da rimedio, si trasforma in tranello. E le fragilità dell’essere umano sono proprio il filo conduttore della mostra.
E come sono rappresentate?
Ad esempio, c’è una Zeza corpulenta, seduta, che rappresenta un’usuraia, con un pulcinella nano accanto, che rappresenta la perdita di autostima dell’uomo; c’è un Pulcinella legato ad un palo, mangiato dai topi, ed una mamma che lo guarda impotente; un altro con un bambino con la maglia di Maradona, un altro ancora con il Cardinale Sepe, che richiama il miracolo di San Gennaro. C’è una scena, intitolata “La scelta”, che fa riferimento all’uovo di Virgilio, in cui in una gabbia ci sono un uovo ed un’anfora rotta, con accanto un Pulcinella, tra una padella e una tenaglia, che rappresenta l’uomo al bivio tra la voglia di sfamarsi e quella di proteggere la città. In un’altra scena, dal titolo “Notte ca se ne và” (ispirata al mio idolo Pino Daniele), una Zeza, alta quasi un metro, tira un carretto antico con sopra tre Pulcinella che stanno dormendo, ecc.
E Parthenope?
La Sirena Parthenope è raffigurata, ad esempio, spiaggiata su uno scoglio con una rete in mano piena di maschere di Pulcinella; più in là, altrettanti Pulcinella senza maschera che spiano per appropriarsene ed avere un’identità.
Come nasce il tuo amore per Pulcinella?
Perché rappresenta il tutto ed il niente, il bene ed il male, il sole e la luna, insomma, la contraddizione, ed io mi identifico molto in lui. In fondo rappresenta tutto il popolo napoletano e Napoli stessa, con cui ho un rapporto di amore ed odio. Per me Napoli è femmina e, come una donna, a volte mi fa arrabbiare perché non riesco a capirla. E, più mi sfugge e più la desidero.
Quando è nata la tua passione per l’arte e la scultura?
Da bambino, plasmavo le molliche di pane, e davanti al presepe mi incantavo e mi ci proiettavo. Credo che fare il presepe sia un atto d’amore. Poi da ragazzino, creavo bigiotteria che poi vendevo quando marinavo la scuola. In seguito, essendo perito elettronico, ho lavorato come antennista, che con l’arte non aveva molto a che fare, lo so! Poi, mentre ero in un villaggio turistico, rimasi colpito da un uomo che lavorava l’argilla e mi diede dei consigli: scoprii, così, l’Associazione napoletana “Amici del Presepe”. Poi ho fatto un corso privato con la professoressa Laura Valentini, che mi ha insegnato tantissime cose, tra cui l’anatomia del viso dei pastori. Mi sono appassionato al presepe napoletano e agli artisti del Settecento, ho studiato tanto e fatto tanta pratica. All’inizio mi sembrava un’impresa, ma in seguito ho imparato che le mani sono l’ultima tappa di un percorso che parte dall’anima e dal cuore.
Cosa provi, mentre crei le tue sculture?
Torno bambino, mi emoziono, mi esalto. Ma devo essere in vena, ispirato. Il momento più bello e la mia vera estasi li vivo, però, quando le persone osservano ed apprezzano le mie opere e ne colgono il messaggio.
Cosa rappresenta, per te, questa mostra?
Un punto di partenza ed un traguardo: se ho raggiunto quest’ultimo, lo devo soprattutto a mia moglie, Maria Salzano, e a mia figlia Valeria, che mi aiutano nel mio lavoro e che, in questo caso, hanno avuto tantissima pazienza, sopportandomi e supportandomi, rispettando le mie idee e comprendendo la mia enorme tensione. Un punto di partenza, perché, nel momento in cui Maurizio De Giovanni, che ringrazio tantissimo, sabato, a mezzogiorno, taglierà il nastro, comincerà per me una nuova sfida, e partirà un altro sogno: poter avere il riscontro della mia città, per poi poter portare la mostra in giro per l’Italia. Sarebbe fantastico poter esportare questa tradizione napoletana! Per ora mi aspetto tanti amici, tante persone ed esperti che spero diano un giudizio positivo. A proposito, ringrazio moltissimo anche il giornalista Marino Bartoletti (che mi ospita nella sua trasmissione) per le bellissime parole che ha speso per me.
Un altro sogno ancora?
Che il Napoli vinca lo scudetto. Oltre ad una vittoria calcistica, per la nostra città, sarebbe un riscatto sociale.