Dal 10 aprile e fino al 6 maggio debutta a Napoli in prima assoluta al Teatro San Ferdinando il nuovo spettacolo scritto e diretto da Mimmo Borrelli, l’autore, attore e regista napoletano considerato tra i maggiori drammaturghi italiani contemporanei.
Lo spettacolo in versi, canti e drammaturgia in due parti, della durata di 1h e 20’ ognuna, si intitola La Cupa. Fabbula di un omo che divinne un albero, quinto lavoro dello scrittore prodotto dal Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale dopo i precedenti ‘Nzularchia (2003), ‘A Sciaveca (2006), La Madre, ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma (2010), Opera pezzentella, ripresa (2015).
In scena recitano lo stesso Borrelli con Maurizio Azzurro, Dario Barbato, Gaetano Colella, Veronica D’Elia, Renato De Simone, Gennaro Di Colandrea, Paolo Fabozzo, Marianna Fontana, Enzo Gaito, Geremia Longobardo, Stefano Miglio, Autilia Ranieri.
Le scene sono di Luigi Ferrigno; i costumi di Enzo Pirozzi; le musiche e le ambientazioni sonore sono composte ed eseguite dal vivo da Antonio Della Ragione; le luci sono di Cesare Accetta. La produzione è del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale.
Per il 39enne drammaturgo di Torregaveta: «La Cupa determina lo “svango”, ovvero lo svuotamento, il passaggio dalla Trinità dell’Acqua (composta da ’Nzularchia; ’A Sciaveca e La Madre, ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma) alla Trinità della Terra, suo primo capitolo. Mentre nella precedente trilogia il flusso dell’elemento materico ruotava attorno al cardine orizzontale della maternità: dall’umidità di un’infanzia violata, rinchiusa nell’utero materno di una pioggia incessante di memorie da raccogliere nella tinozza dei ricordi da ricostruire, di ’Nzularchia; per passare all’amore impossibile violentato, inzozzato, insufflato e travolto dai fiotti ondosi del mare de la ’A Sciaveca; fino ad arrivare ad un testo che affrontasse concretamente e non per richiami di allegoria la maternità stessa, ovvero La Madre, ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma; in questa invece affonderò le mie peregrinanti autoanalisi, nei versi del mio inconscio e il suo affiorare in getto e spruzzo furibondo alla pagina prima, alla scena poi, senza intralcio di naturale consequenzialità e senza dunque poter prescindere dalla mia stessa carne e messa in compromissione, negli atti al presente della mia stessa vita, sulla paternità e le sue e le mie paure, non così tanto nascoste».
Un altro sorprendente viaggio nella lingua-universo di Mimmo Borrelli, unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori autori teatrali contemporanei italiani. Una magia di suoni e visioni capaci di scuotere e di raggiungere il lato intimo dell’esistenza, attraverso una lingua che con potenza si impone all’ascolto e al senso.