Mi sia consentito rivolgere un sentito benvenuto al Principe Emanuele Filiberto e un saluto alla Deputazione di San Gennaro, al Comitato delle Guardie d’Onore alla Cripta di San Gennaro, agli Amici della Delegazione della Diocesi di Ascoli Piceno gemellata con Napoli e guidata dal Vicario Generale, Mons. Emidio Rossi, agli amici Cuochi guidati dai Padri Caracciolini agli amici Giornalisti e a tutti gli Operatori del mondo dell’informazione.
Si è da poco conclusa la tradizionale processione in onore di San Gennaro, portando le sue Sacre Reliquie e il suo Busto, unitamente alle statue dei Santi compatroni, dalla nostra Chiesa Cattedrale a questa stupenda Basilica di Santa Chiara.
Abbiamo attraversato la Napoli antica; siamo passati per le sue strade; ci siamo come tuffati nella storia della nostra Città.
Camminando con noi, il nostro Patrono si è ritrovato con il suo popolo; ha toccato quasi con mano la fede e la devozione dei napoletani; ha guardato nella vita della nostra gente, cogliendone le abitudini, cordiali anche se non sempre corrette, la semplicità, l’imprevedibile quotidianità, l’incertezza del domani.
San Gennaro vede, sa e soffre, con il suo popolo, per il disagio anche economico in cui si dibattono tante persone e tante famiglie; per le privazioni e rinunce cui sono costretti in molti; per il dolore di chi ha perduto il lavoro o non lo ha mai avuto; per le sofferenze di quanti sono negli ospedali o nelle carceri; per la tristezza di chi è solo; per la povertà crescente.
San Gennaro ha attraversato le strade del nostro vivere, della nostra napoletanità fatta di calore umano e che certamente gli procura gioia, come succede tra parenti e all’interno di una famiglia, ma ha anche sofferto tanto, come parente autorevole, per il sangue che troppo spesso bagna queste nostre strade. E non importa se è sangue innocente o colpevole, perché è sempre sangue umano, che distrugge vite, porta dolore, semina lutti, offende la città.
E’ il sangue della malavita, quella comune o quella organizzata, che resta un vero cancro di questa meravigliosa terra, che non riesce a liberarsene del tutto, nonostante la reazione e la lotta della gente sana, nonostante una diffusa cultura antimalavitosa, nonostante l’impegno e i successi delle Forze dell’Ordine.
Nessuna città può togliere dalla vista le cicatrici di cui è segnata. ma Napoli, per l’aberrante via della violenza rischia di vedere sfigurato per sempre il suo volto.
Come è possibile, viene da chiedersi, che la violenza, il male- con tutti i suoi derivati dell’odio, della sopraffazione, della sete di ricchezza e di denaro a qualunque costo- possa sovrapporsi al patrimonio inesauribile della nostra umanità?ò
San Gennaro soffre veramente, perché troppe strade di Napoli, anche quando non sono bagnate dal sangue, sono diventate teatro di violenza.
Una violenza spesso gratuita, quasi irrazionale, perché non sempre nasce dall’avidità del danaro o dalla tendenza a delinquere o dall’abitualità criminosa o ancora dalla inclinazione al delitto e dalla pericolosità sociale.
In realtà, costatiamo che c’è violenza nelle relazioni interpersonali; c’è violenza organizzata e ideologica nell’esercizio del proprio ruolo; c’è violenza nella pratica di attività sportive; c’è violenza nella fruizione del tempo libero; c’è violenza nelle famiglie; c’è violenza nel rapporto uomo/donna; c’è violenza nella guida scriteriata e pericolosa delle auto come delle moto.
C’è violenza nella scuola, manifestata da alunni e da genitori nei confronti di docenti; c’è violenza negli ospedali, dove non si accetta l’aggravamento o la morte di un congiunto, oppure si presume un errore umano del medico o dell’infermiere; c’è violenza nelle carceri.
C’è violenza quando si seguono esempi sbagliati o quando si hanno riferimenti e modelli che portano alla devianza. C’è violenza quando si invade la libertà di un altro; c’è violenza quando si deruba o si rapina o si ricatta un’altra persona; c’è la violenza delle espressioni e delle parole; c’è la violenza della diffamazione, della calunnia e dell’odio.
Si, lo sappiamo, nessun uomo nasce violento, ma lo può diventare per la sua fragilità o debolezza o presunzione o arrivismo. La violenza non è mai espressione di coraggio, tutt’altro; è piuttosto un atto di viltà compiuto da chi ricorre alla forza per far valere una propria ragione o pretesa.
E’ amaro e triste, pertanto, riconoscere e dire che la violenza sta prima ancora nella società, quando vive di indifferenza, di egoismo, di inerzia, di incapacità di dare risposte o di trovare soluzioni per dare lavoro a uomini e donne, a padri e madri, mostrandosi inefficiente rispetto alle legittime aspettative dei giovani che non vogliono e non possono accettare di restare in parcheggio per un inserimento incerto, improbabile e vago nel mondo del lavoro, delle professioni, della ricerca.
Dico queste cose non per lanciare una semplice denuncia, non per puntare l’indice accusatore. Non lo penso e non lo farei.
Ma ho il dovere, come cittadino responsabile e come Pastore di questa terra, di lanciare un grido d’allarme, per contrastare la cultura della violenza e richiamare alla propria responsabilità tutti e ciascuno di noi, perché la società non è una entità astratta ma è fatta da tutte le persone, dalle categorie sociali, dagli enti, dalle associazioni, dalle istituzioni.
Tutti siamo chiamati in causa, a cominciare dalla Chiesa. Credenti e non debbono sentirsi impegnati in ragione del proprio ruolo e della propria responsabilità. Tutti dobbiamo fare la nostra parte e dare risposte agli ammalati, ai poveri, ai senza dimora, ai lavoratori rimasti disoccupati, alle donne, all’infanzia sofferente, alle famiglie. E soprattutto nei riguardi dei giovani, che non vanno dimenticati, non vanno trascurati, non vanno abbandonati al loro destino, non vanno traditi.
E’ rispetto a questi obiettivi che tutti, ciascuno per la propria parte, siamo chiamati a sporcarci le mani, a lavorare concretamente, a non perdere tempo, a trovare soluzioni e sinergie, a valorizzare le eccellenze che abbiamo, le risorse immense che ci sono, la ricchezza culturale di questa terra, a credere nelle due grandi potenzialità e risorse rappresentate dai giovani e dal territorio.
E lo dobbiamo fare cercando e trovando le necessarie sinergie tra Chiesa, Istituzioni, Scuola, Forze sociali, Operatori economici.
Non possiamo fallire in questa impresa, in questo nostro dovere. Per questo vogliamo affidarci ancora e sempre a San Gennaro perché non faccia mai venire meno la sua protezione, la sua vicinanza, il suo amore, intercedendo con la potenza della sua santità presso il Signore Misericordioso.
A San Gennaro, però, non possiamo chiedere senza dare. Come figli devoti, gli assicuriamo la nostra fedeltà, la nostra sincera devozione, le nostre preghiere, ma anche il nostro impegno a cambiare in noi stessi per cambiare la società, per far prevalere il bene comune, per avere una società più giusta e migliore.
Maria SS.ma, regina di Napoli, benedica questi nostri propositi e, con la protezione del nostro Santo Patrono, ci protegga con la sua materna intercessione.
San Gennaro e ‘A Maronna ci accompagnino!
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