Lo scultore Emilio De Cicco: «Napoli è il mio pane quotidiano»

(di Mariateresa Di Pastena) –

Emilio De Cicco sta alla scultura come Giovanni Pascoli sta alla poesia:  infatti,  Emilio, proprio come auspicava il grande poeta, nell’animo è rimasto un fanciullino, ed è questo, molto probabilmente, il segreto della bellezza e della purezza della sua arte, che dalla poesia non dista poi molto. Nel suo nuovo negozio a via Montevergine, una traversa di via Epomeo. De Cicco sente di aver realizzato uno dei suoi sogni, soprattutto quando, all’interno, mostra orgoglioso ai clienti  anche la sua ‘bottega’ a vista. Mentre le sue abili mani danno anima e corpo a ciò che crea, avviene una vera e propria trasposizione delle sue emozioni e della sua sensibilità. Sono piccoli, grandi capolavori, quelli che prendono vita, dettaglio dopo dettaglio, e che, frutto di un’estrema pazienza, cura e delicatezza, sottolineano la bravura e la maestria di De Cicco. Ed anche la sua incantevole ed immutata umiltà, che si percepisce dal modo in cui si racconta e quando ci confida, a dir poco emozionato, di aver creato, e poi consegnato recentemente a Renzo Arbore una statuina che lo ritrae.

Com’è stato incontrare il grande Arbore, da sempre estimatore della nostra città, di cui è anche cittadino onorario?
E’ stato un onore, come sempre, per me, omaggiare un così grande artista. Sono andato in Rai, qui a Napoli, da dove sta andando in onda la sua trasmissione, per consegnargli la scultura personalmente e lui si è commosso! Per me è stata un’emozione enorme, indimenticabile!

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Partiamo dal tuo “regno”, il tanto agognato negozio: un importante traguardo, per te…
E’ vero! E’ stato inaugurato da poco, e a tagliare il nastro inaugurale è stato ancora una volta, come per la mia ultima mostra,  lo scrittore, e amico,  Maurizio de Giovanni, gentilissimo e disponibile,  che ha speso, come sempre, bellissime parole per me. Un obiettivo, questo del negozio, che rincorrevo da molti anni, così come ho sempre cercato di coinvolgere nel mio lavoro tutta la mia famiglia, e in parte ci sono riuscito. Tranne mia figlia Maria Chiara, che fa tutt’altro;  mia moglie Marinella e la mia figlia maggiore, Valeria, ormai, infatti, sono fondamentali nell’attività, mi guidano come due angeli custodi. Mia figlia sta seguendo le mie orme e in primavera terrà anche un laboratorio di ceramica presso la scuola Pirandello Svevo, la stessa in cui lo tenni io diversi anni fa! Prima avevamo soltanto un laboratorio, ora con questo punto vendita, che ne conserva il nome, “Anime di terracotta”, creato con tutti i crismi, abbiamo un ‘atelier’ con un effetto luci molto particolare; poi,  attraverso un arco  si accede sul retro, dove si può vedere come lavoriamo. E questo attira molte le persone, anche perché è insolito vedere un negozio del genere in questa zona:  tutti hanno risposto con molto entusiasmo e curiosità, definendolo una ventata di allegria e di arte…

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Nel panorama partenopeo, ormai, sei  uno scultore apprezzato e conosciuto: quanto incide nel tuo lavoro il fatto di essere napoletano?
E’ fondamentale! Cito ancora il mio amico Maurizio de Giovanni, che, una volta, in Rai, definì Napoli ‘”una fissazione”, rendendo perfettamente il senso dell’essere napoletano. Io faccio mia questa bellissima definizione, perché racchiude davvero quello che anche per me rappresenta appartenere a questa città, al popolo napoletano. Napoli è davvero il mio pane quotidiano.
A  Natale,  qui a Napoli, il presepe è sacro! Com’è cambiata, secondo te, nel tempo, la passione dei napoletani per questo prezioso simbolo?
E’ rimasta immutata. E questo grazie soprattutto agli amici artigiani di San Gregorio Armeno e alla bottega dei Ferrigno, prima del padre, ora del figlio, Marco, che ne hanno mantenuto alto il nome ed il valore. Io stesso posso testimoniare l’eterno fascino del presepe: dai più piccini ai più grandi, tutti si fermano e si incantano davanti  a quello monumentale che c’è nella vetrina del mio negozio, ed io spiego, alle persone che me la chiedono,  la  simbologia dei personaggi, cosa rappresentano, e loro mi ascoltano con molta attenzione. Il presepe, poi,  appartiene a Napoli, perché quello napoletano è ‘un popolo d’amore’. Come  ha sempre sostenuto lo scrittore Luciano de Crescenzo, il mondo si divide in due categorie, gli alberisti ed i presepisti: noi apparteniamo ai secondi, naturalmente, e  viviamo senza andare di fretta, preferiamo il caffè al tea, la vasca alla doccia, e via dicendo!

Se tu dovessi, in questo momento, rappresentare Napoli con una scultura…
Sarebbe quella del grande Pino Daniele: la sua musica, le sue canzoni  si legano a tutte le arti, è presente in ogni cosa che mi circonda, rappresenta la città. Pino si identifica con Napoli, e viceversa.

Secondo te, l’artigianato è apprezzato e valorizzato nel modo giusto?
Ci sono persone che capiscono ed apprezzano i pezzi d’artigianato importanti, ma giustamente noi produciamo anche oggetti più accessibili, quindi spaziamo dal ‘corniciello’ portafortuna a pezzi importanti, per intenditori o collezionisti, che ne fanno spesso oggetti di arredamento. La Natività non è più solo natalizia, ormai. Il presepe napoletano, comunque, ha una storia a sé, una tradizione tutta sua, ed è diverso da quello popolare. Ad esempio, Carlo di Borbone, che vi si dedicò personalmente, volle, per vari motivi, sostituire la grotta con il tempio, e lo stesso Vanvitelli, che all’inizio disdegnava i pastori maneggiati dai regnanti,  dovette riconoscerne il valore artistico. All’epoca sono stati creati pezzi unici, da grandi scultori. Qui a Napoli abbiamo il  più celebre e colto presepe del Settecento, grazie alla collezione di ‘pastori’ donata al Museo di San Martino dall’architetto Michele Cuciniello. Insomma, il presepe è cultura. Quello napoletano rispecchia la storia della nostra città, il suo evolversi.  Potrei aggiungere che il presepe è un virus contagioso che non può, e non deve, essere mai debellato

Quale consiglio daresti ad un ragazzo giovane che vuole intraprendere quest’arte?
Prima di tutto di studiare, di informarsi, prima ancora di avere a che fare con stoffa e argilla. Prima di creare un pastore, un oggetto, bisogna conoscere la storia di quest’arte.

Parliamo di un’altra tua grande passione: il Napoli!
Già! E’ un mio grandissimo amore, trasmessomi da mio padre. Penso che il calcio, in particolare quello che riguarda il Napoli, sia legato anche ad un problema sociale: non è possibile che vincano sempre gli juventini, e quindi ‘i capitalisti’, e che non diano spazio a chi cerca di avvicinarsi alla vittoria investendo soprattutto in impegno e volontà!

I tuoi ultimi, e i prossimi, impegni?
Prossimamente, sicuramente un po’ di riposo post-natalizio e poi si riparte con le produzioni…  Questo è davvero un periodo di intenso lavoro: ultimamente sono stato presente, per il quinto anno di seguito, al  castello di Limatola, in provincia di Benevento, dove è stata esposta l’eccellenza artigianale della Campania. C’erano tantissimi oggetti medievali, c’è stata molta affluenza, un luogo davvero caratteristico!. E’ sempre una bellissima esperienza esporre lì. Attualmente, nel periodo natalizio, siamo come sempre a via Luca Giordano, al Vomero. Ora stiamo lavorando molto sui ritratti: una famiglia si è fatta fare un presepe con le sculture dei vari familiari, da aggiungere alla Natività …

Questo cozza, secondo te, con la tradizione?
No, non direi… La famiglia è comunque, e sempre, tradizione! Piuttosto, farei molta attenzione ai messaggi che trasmettiamo con le statuine e le sculture…. E poi abolirei, però, dal presepe, i calciatori… Lasciamoli in campo, è meglio!