di Marco Martone
Sta per ricominciare, finalmente! La scuola riapre le porte ai suoi smarriti alunni, alle famiglie timorose di un futuro sempre più incerto a docenti che, prima ancora di cominciare, hanno già accumulato stress e preoccupazioni sufficienti a colmare l’intera stagione. E non sarà un giorno particolarmente allegro, soprattutto per gli studenti più piccoli. Il primo giorno di scuola, questa volta, non sarà come gli altri anni. Non ci saranno alunni grandi ad accogliere i fratelli più piccoli, mancheranno feste e comitati di accoglienza, cerimonie di inaugurazione e riunioni in teatro. I bambini della Campania non vanno a scuola da quasi 8 mesi. Un’eternità, quasi il tempo per una gravidanza.
Nessuno mai avrebbe immaginato, quando fu deciso il lockdown, che ha confinato tutti noi nelle nostre abitazioni, che i nostri ragazzi fossero costretti per tanto tempo a starsene lontani da banchi, compagni e insegnanti. Quasi nove mesi senza voti e senza risate, senza rimproveri e senza interrogazioni, pianti e merendine. Eppure l’anno scolastico che sta per cominciare in Campania, in ritardo rispetto ad altre regioni italiane, potrebbe essere ancora più incerto e anomalo di quello che si è chiuso in maniera così brusca e traumatica qualche mese fa. Con quella strana sintesi tra reale e virtuale, cui la platea scolastica italiana si è trovata a doversi confrontare, dalla sera alla mattina. Non più davanti ad una cattedra, ma dietro ad un monitor, per la cosiddetta didattica a distanza, che avrebbe enormi vantaggi se solo potesse essere una scelta dei docenti e non certo una costrizione. Perché la scuola senza Scuola non è pensabile neanche nei racconti di fantasia, così come l’insegnamento senza la presenza dei maestri e dei professori, dei bidelli e dei segretari, delle macchie di umidità sulle pareti e del suono della campanella. Non si cresce senza il rapporto costante con i compagni di classe, gli sguardi non filtrati dalle camere dei cellulari, le pacche sulle spalle e le “fughe vigliacche davanti ai cancelli”, per dirla alla Antonello Venditti. Eppure la scuola riprende, con il rischio fondato che in molti scelgano di rinunciare. Qualcuno dei nostri bambini non varcherà il portone della propria scuola, semplicemente perché i genitori hanno paura del contagio e preferiranno tenerli a casa. Non a caso, in questi giorni, molte famiglie si stanno organizzando per riunirsi in gruppetti e promuovere lezioni private per i propri figli, limitate a un numero esiguo di partecipanti. Soluzione estrema ed… estremamente triste, anche poco condivisibile, se vogliamo. Andranno a scuola, quindi, i ragazzi e lo faranno con un carico di compiti e di indicazioni che, soprattutto per i più piccoli, saranno difficili da rispettare ma rappresentano un dazio necessario da pagare perché la scuola, da sempre, è fatta di contatto fisico, di socializzazione, di interazione spontanea, di empatia, di rapporti con il gruppo. Qualsiasi tipo di soluzione alternativa, sarebbe un surrogato e significherebbe rinunciare alle emozioni, offendere i principi dell’insegnamento, negare la crescita.
*Pubblicato sul Golfo quotidiano