di Marco Martone –
Cultura nelle periferie, che parte dal basso e che si integri con il territorio. Sono gli obiettivi primari dell’associazione Maestri di Strada, rappresentata da Cesare Moreno cui è stato assegnato in questi giorni il premio alla Cultura della Fondazione Premio Napoli, in quanto promotore di un’idea di città dove centro e periferie contribuiscono alla costruzione di un’identità culturale complessa, più ricca. Il riconoscimento sarà consegnato martedì prossimo al Teatro Mercadante di Napoli. Cesare Moreno ne ha parlato nel corso della trasmissione “Oltre l’Ostacolo”, sulle frequenze di Radio Svago Web.
«Hanno riconosciuto il mio impegno per la cultura delle periferie dove lavoro da sempre e dove continuo a vivere. La mia idea è sempre stata di fare in modo che la capacità di inventare cose in periferia, anche in condizioni difficili, entri a far parte della cultura della città. Mi sento rappresentante di una cultura indigena».
Quali sono le difficoltà maggiori che incontra in tal senso?
«È indispensabile capire che la città è fatta di centro e di periferia e queste due parti devono dialogare tra loro, cosa non frequente. Questo premio fa onore, prima che a me, a chi ha deciso di assegnarmelo».
C’è dunque ancora speranza che Napoli, con le sue periferie, siano altri rispetto a criminalità e Gomorra?
«Mi viene voglia di fare un paradosso. Il primo modo per conoscere la bellezza del territorio in cui ci troviamo è riconoscere anche i suoi aspetti più brutti. Lo stereotipo è pensare che Napoli sia fatta solo di criminali ma anche credere che sia mare, aria e fantasia. I maestri di strada dicono, “questa è la mia città, tutto ciò che ne fa parte mi appartiene”. Questo è il senso del nostro impegno».
E le iniziative non mancano.
«Nei mesi scorsi abbiamo inaugurato un tour di turisti nel quartiere di San Giovanni a Teduccio. Zona dove ci sono le cose brutte ma anche aspetti positivi. Noi dobbiamo far crescere il bello senza negare il brutto. Puntando su isole di bellezza, solidarietà, pulizia e voglia di vivere anche in ambienti difficili. La bellezza la creiamo noi, non c’è fuori».
La cultura ci salverà dunque?
«Se per cultura intendiamo inventare modi di vita civili, il racconto il condividere immagini mentali, diventa la nostra arma contro il degrado e il brutto che c’è. Ma si tratta di una cultura sviluppata dentro i territori non solo quella che si trova nelle librerie. È questo l’unico modo per affrontare il confronto civile invece del corpo a corpo».