(Eleonora Belfiore)
Dal 26 aprile al primo maggio sarà in scena al Piccolo Bellini di Napoli “Gemito, l’arte d’ ‘o pazzo”, spettacolo teatrale scritto e diretto da Antimo Casertano, qui anche interprete insieme a Daniela Ioia, Luigi Credendino e Ciro Kurush Giordano Zangaro. Dopo il debutto, la scorsa estate, nell’ambito del Campania Teatro Festival, la potente kermesse di Antimo Casertano sul genio inquieto di Vincenzo Gemito, approda nel prestigioso teatro napoletano per incantare pubblico e critica.
Lʼevento è preceduto e impreziosito dalla mostra di alcune riproduzioni di busti provenienti dalle Fonderie Gemito, realizzate con calchi originali del maestro, esposti nel foyer del Teatro Bellini, con la possibilità di una visita guidata, a cura dello storico dell’arte Matteo Borriello. Lo spettacolo nasce dalla collaborazione tra NarteA e Teatro Insania e rende omaggio al talento, fatto di luci e ombre, di Vincenzo Gemito, recluso in manicomio, tra il 1886 e il 1888, e una volta uscito, protagonista di una clausura domestica volontaria, durata oltre venti anni.
Abbandonato alla nascita, il destino di Vincenzo Gemito sembra dunque essere scritto sin dalla nascita, alla perenne ricerca di un posto nel mondo che non riuscirà mai a trovare.
Attento e scrupoloso il lavoro di ricerca di Antimo Casertano, che ha avuto modo di leggere anche i diari e i carteggi di Gemito, durante il periodo trascorso in manicomio. Valore aggiunto della kermesse, le musiche originali di Marco DʼAcunzo e di Marina Lucia; delle scene di Flaviano Barbarisi e dei costumi di Antonietta Rendina.
Un testo che, come ha affermato il regista, nasce durante il lockdown, in uno dei momenti più drammatici della nostra storia contemporanea, e che pone lo spettatore di fronte ad importanti interrogativi sul valore della vera arte e sui demoni interiori che ci portiamo dentro. Demoni quasi necessari, sentenzia uno degli attori, altrimenti: “saremmo fatalmente soli contro noi stessi”. Un incubo, forse, peggiore delle visioni e dei deliri vissuti da Gemito.
Durante lo spettacolo, la voce di Daniela Ioia, che ha dato vita ad una prova solida e coinvolgente, interpretando con la giusta dose di empatia il personaggio di Annina, la moglie di Vincenzo Gemito, colei che più di tutti pagò il prezzo della follia del celebre artista partenopeo, ci ricorda come, ieri e ancora oggi, “tutto sia vanità”, parafrasando la storica affermazione di Filippo Neri.
“È davvero così? ”, si chiede il regista, non riuscendo, per sua stessa ammissione, a trovare risposta. Di sicuro, attraverso questo testo, cʼè la voglia di osare, di uscire dagli schemi, dai cliché ancorati al binomio genio e sregolatezza. Non è sempre così, sostiene Antimo Casertano che, attraverso il racconto di questa mente sconvolta, chiusa nel suo dolore per oltre ventʼanni, vuole anzi dimostrare che spesso la sofferenza estrema pregiudica e distrugge il talento.
Filo conduttore dello spettacolo, il circolo vizioso dellʼArte per la vita e della vita per lʼarte, eterno macabro uroboro, che attanaglia e stritola Vincenzo Gemito.
Una vicenda umana, la sua, all’insegna della miseria, dei lutti, della gloria e della follia. La sua fama gli fece guadagnare la commissione della statua in marmo di Carlo V per la facciata del Palazzo Reale di Napoli. Le difficoltà, vere e presunte, nel portare a termine questo incarico prestigioso, lontano dalla sua poetica degli “ultimi”, quasi caravaggesca, e per il quale riuscì solo a realizzare il modello in gesso, gli provocarono un grave esaurimento nervoso. I successivi vent’anni furono segnati da ricoveri e paranoie, che questo spettacolo ripercorre con grande sensibilità e realismo. Gemito, ripresosi agli inizi del ‘900, sperimentò ancora momenti di grande creatività fino alla morte che lo colse, circondato dai tanti fantasmi che sempre affollarono la sua mente, nel 1929.
Uno spettacolo più che mai attuale, da vedere con attenzione.