di Mariateresa Di Pastena –
Si è da poco concluso Sanremo, in cui ha trionfato il giovane e talentuoso Mahmood (dalla voce musicale ed un ritmo che rievoca le sue radici), con la canzone “Soldi”), ed è quindi calato il sipario sul Festival dell’innovazione e della commozione (che ha riempito di lacrime gli occhi di alcuni artisti in gara e di ospiti che hanno veicolato dei messaggi importanti e non solo attraverso le note (tra cui il valore della famiglia, dei genitori, dei nonni, il disagio giovanile e l’importanza dell’amore e del ‘prendersi cura’ di chi amiamo).
Ma, questo, è stato anche il Festival della polemica, provocata dall’annuncio del podio, che ha suscitato nel pubblico in sala una sorta di rivolta, placata con grande imbarazzo dal direttore artistico Claudio Baglioni e dagli altri due conduttori, Claudio Bisio e Virginia Raffaele.
Ma, dopo Sanremo, si sa, come ogni anno, è la volta di San Valentino, e anche quest’ultimo divide gli italiani in due: quelli che lo festeggiano e quelli che lo ignorano. Fiori, regali, cioccolatini e cene a lume di candela per i primi, una serata volutamente come le altre, per i secondi.
Ma com’è cambiato l’amore, e soprattutto la sua esternazione, con il passare del tempo, e, soprattutto, con l’avvento dei social? C’era una volta, a Napoli (e non solo) la “dichiarazione” d’amore (oggi il termine ‘dichiarazione’, ai più, fa pensare immediatamente a quella dei redditi, molto meno romantica), che prevedeva un rito di preparazione, prima di arrivare al momento solenne vero e proprio della proposta di ‘fidanzamento’. Ai tempi dei nostri nonni, e anche dei nostri genitori per coloro non sono più giovanissimi, non erano molte le occasioni in cui ci si poteva incontrare e manifestare i propri sentimenti … Quindi, bisognava prendere le occasioni al volo per “dichiararsi”, magari fuori ad una chiesa, sfuggendo un attimo al controllo della mamma, o fuori scuola, o ad una di quelle feste caserecce per festeggiare il compleanno, con i familiari che facevano capolino ogni tanto. Era l’uomo a fare il primo passo e la donna poteva solo accettare o rifiutare la proposta. Anzi, andando ancora più indietro nel tempo, bisognava interpellare prima i futuri suoceri, per avere il consenso.
Poi, col tempo, si è passati al più moderno e sbrigativo “ti vuoi mettere con me?” che, letteralmente, lasciava un po’ a desiderare. La libertà, comunque, per chi aveva dei genitori meno permissivi, durava fino al tramonto (d’inverno era veramente dura!) e quindi, con la scusa di andare a fare i compiti da una compagna di classe, si rubava una mezz’ora sulla strada del ritorno o alla fermata dell’autobus per flirtare.
Oggi, i social hanno preso il sopravvento, quasi sostituendo del tutto la presenza fisica anche negli approcci amorosi. La voce è stata soppiantata dalla tastiera del computer o del cellulare. Soprattutto i giovanissimi, spesso, si innamorano e si lasciano via internet. E a volte, senza neanche una spiegazione: in un attimo, ci si trova ‘bloccati’ all’improvviso… Ma l’amore non è poi così diverso da una volta e le emozioni, quelle vere, fanno battere il cuore anche dietro uno schermo. Perché l’amore non passa mai di moda, in qualsiasi epoca e a qualsiasi età. Anche se, come spiegano questi versi, una volta nasceva vis- à-vis.
L’amore e lo sguardo
“Vuoi ballare con me?”
Si chiedeva una volta.
E quel sì, sussurrato,
era già la svolta…
La festa di sera a casa di amici,
bastava poco a renderci felici.
La musica, complice perfetta,
era l’autorizzazione a tenerti stretta.
“Come ti chiami, quanti anni hai?
E, dimmi, il ragazzo, ce l’hai?”
Un ballo dopo l’altro, e alla fine della festa,
sembrava già di aver perso la testa.
Il numero di telefono scritto in fretta su un biglietto:
un pegno prezioso, da stringere al petto.
‘Ti prometto che domani ti chiamo’.
E poi da quel filo arrivava un ‘ti amo’
Ora il telefono ha le gambe ed i piedi,
ma a quel che dice spesso non credi.
Perché l’amore nasce guardandosi negli occhi,
senza like e senza foto piene di ritocchi.
Tornare indietro, certo, non si può,
ma accendere il cuore sì, però!
E spegnere il telefono, ogni tanto,
per guardare in faccia chi ti sta accanto.