di Fabio de Paulis
Una volta Togliatti disse: «La lotta finale sarà tra i comunisti e gli ex comunisti». Quella che sembrava essere stata una semplice battuta si è rivelata una previsione drammaticamente indovinata. I tormenti di questi tempi del PD sembrano derivare dalla necessità, già sperimentata dalla Bolognina al 2007, fino ai giorni nostri, di dover prendere le distanze dal suo passato. Ma in ogni trasformazione che si rispetti si corre il serio rischio di perdere importanti riferimenti utili alla ricostruzione di una vera identità, in questo caso della sinistra.
E’ innegabile che nel recente passato, la perdita di questi riferimenti abbia causato responsabilità importanti, quali la nascita dell’antipolitica ad esempio, dimentichi dell’importantissimo contributo fornito alle lotte intraprese per il riconoscimento e la tutela di diritti. Oggi sono essenzialmente due i fantasmi contro i quali la sinistra “moderna” nel riorganizzarsi deve combattere e tentare di vincere. Primo fra tutti quello dell’antipolitica. La dilagante disaffezione, sensibilmente forte nell’elettorato di centro-sinistra, ha spinto quote molto significative dei propri elettori a non andare più a votare, non riconoscendosi più nel partito e nella sua latitante ideologia.
Agli occhi di tutti sembra che si stiano avvicendando oligarchie ad oligarchie, causa di una disaffezione, anche nei confronti di tutte le altre forze politiche in verità, complessivamente incapaci di fare scelte nette, di realizzare e mantenere anche le più semplici promesse.
I non più tollerabili abusi, le inestetiche ostentazioni di privilegi, le lottizzazioni di spazi pubblici, hanno prodotto cittadini senza partito, ma con valori molto netti e precisi che privi di ogni collocazione e identità politica si sono riversati nelle liste civiche, movimenti, associazioni e comitati, pronti ad accoglierli. L’assenza di programmi sulla giustizia, sui beni culturali, sull’immigrazione, sull’informazione, sull’economia, la crisi del welfare; si sono rivelati tratti sintomatici di una crescente crisi della democrazia, quasi irreversibile.
Al confronto sui temi e sui programmi si è sostituito lo sdegno, le sistematiche offese, il disconoscimento altrui, la incapacità ad accettare le critiche che hanno reso la politica una casta sempre più chiusa e sempre più lontana dalla gente. L’altro fantasma è rappresentato dall’inerzia della struttura esistente che sembra impedire lo sviluppo della sempre annunciata ma mai realizzata modernizzazione.
Modernizzare non vuol dire però insensata rottamazione della nostra Costituzione nata dalla resistenza. Non vuol dire smembramento dello Statuto dei Lavoratori, eccidio della Sanità e del comparto giustizia, piuttosto che esodo di insegnanti sotto il sinistro slogan: ”buona scuola”, in favore di banche e sistema monetario; perché andando in questo senso, si incorre nel colossale errore di una falsa efficienza in grado di obbedire ciecamente soltanto ai dettami dell’Europa.
La soluzione intravista nell’utopia di una grande forza unitaria di schieramento progressista fondato sul legame tra continuità e rinnovamento, sembra essere oggi miseramente naufragata, perdendo senza remore anche il valore di quelle opposizioni sincere e appassionate sostenute dalle minoranze. Anche a sinistra e forse per sempre, sembra essersi avviati verso la legittimazione del dominio dell’immagine, della personalizzazione del partito, ovviamente del tutto incapace di tenere insieme ciò che insieme non può stare e cioè la convivenza con quello spazio da sempre occupato dal confronto democratico e dalle idee.