di Marco Martone –
«Quella contro il cancro è una battaglia che si vincerà piano piano». Lo ha detto Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia e professore di Anatomia e Istoloigia Patologica presso il Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Neuroscienze, presso il Laboratorio di Tecnologie Biomediche ed Oncologia Sperimentale dell’Università di Siena, nel corso dell’intervista rilasciata ai microfoni di Radio Svago Web, nel corso della trasmissione “Scrivonapoli- Oltre l’ostacolo”.
«Il cancro, come il diabete e le malattie cardiovascolari – ha detto lo scienziato napoletano – è una patologia che prima o poi si controllerà. Il fatto stesso che venga considerata una patologia dell’anziano, significa che i nostri protocolli nella diagnosi precoce e nelle terapie più specifiche sono arrivati a livelli molto elevati. È chiaro – ha aggiunto l’oncologo – che la complessità del nostro organismo richiede moltissimi studi e ricerca, non bisogna abbassare la guardia per raggiungere il nostro sogno».
Le prospettive di vita dunque sono molto più ampie, rispetto a qualche decennio fa.
«L’essere umano potenzialmente può vivere 120 anni, l’età media si è alzata a 80/83 anni ma c’è ancora molto da lavorare – ha detto Giordano – il sogno di un’eterna giovinezza rimane uno degli obiettivi principali di questo splendido romanzo che è la nostra vita».
Nei giorni scorsi Antonio Giordano ha partecipato ad una importante iniziativa, legata alla Dieta Mediterranea, con la firma di due protocolli d’intesa tra l’Accademia MedEATerranea e il Dipartimento di Biotecnologie, Chimica e Farmacia dell’Università di Siena e con il Dipartimento di Medicina clinica, Sanità pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università dell’Aquila. Protocolli che, di fatto, rendono la Campania un modello per gli studi di gastronomia
«Si tratta di un’iniziativa importante – spiega Giordano – perché crea un ponte e un legame tra l’arte culinaria e la prevenzione di patologie gravi, come i tumori. La Dieta Mediterranea è un modello di alimenti ideali per mantenere una qualità della vita di un certo livello. L’obiettivo – aggiunge – è dare una informazione scientifica anche agli chef del futuro, che avranno così una conoscenza molecolare sugli ingredienti che vanno sulle tavole di tutto il mondo e che loro utilizzano nella loro cucina. La dieta mediterranea uno dei segreti che rendono gli italiani la popolazione più longeva al mondo».
Quale deve essere il ruolo dell’informazione, rispetto ad una vera educazione all’alimentazione?
«La comunicazione, quella seria che va a controllare la validità di tante teorie che vengono fuori, è uno strumento determinante. Noi diamo un significato scientifico al settore, in modo che anche chef moderni non facciano altro che usare quelle che erano le ricette delle nostre nonne, con prodotti di una terra considerata Felix come la Campania e che dimostrano come la natura abbia dato all’Italia un qualcosa di unico e che gli uomini sono stati in grado di sviluppare con la cultura culinaria secolare. Ogni regione d’Italia è un piccolo giardino».
Alimentazione e ambiente fanno pensare alla Terra dei Fuochi…
«Dobbiamo essere certi di saper migliorare ciò che la natura offre, eliminando i danni e gli insulti ambientali che la speculazione imprenditoriale ha contribuito nello stuprare alcune regioni italiane, non solo la Campania – dice il professore, autore tra l’altro di un libro bianco sulla Terra dei Fuochi – Attraverso la conoscenza scientifica si può esaltare il bello e controllare chi agisce in maniera disonesta e illegale. Così proteggiamo il nostro ambiente.
Ricordo che anche Papa Francesco disse “la nostra casa è questa, un’altra non l’abbiamo dove andare a vivere”».
Lei è diventato famoso nel mondo, portando in alto il nome di Napoli e della Campania, restando però sempre legato al territorio di origine. Tanti ragazzi sono costretti ad andare via, senza fare più ritorno. Si può arginare la “fuga dei cervelli”?
«Purtroppo un’inversione di tendenza non c’è. L’emigrazione che caratterizzò l’Italia alla fine del 19esimo secolo vide protagoniste famiglie povere e per lo più di contadini. Oggi è diventata emigrazione culturale di ragazzi laureati. Quella generazione di italiani di 200 anni fa ha investito, dando la possibilità ai propri figli di studiare, oggi non si riesce a massimizzare sulle risorse umane che abbiamo e perdiamo invece gli elementi migliori. La fuga di cervelli in questi ultimi 10 anni ha raggiunto picchi elevatissimi, io sono molto preoccupato – spiega Giordano – quei giovani che si sono inseriti in ambienti competitivi dove si investe su cultura e ricerca non rientreranno più e questa è una grandissima perdita per un paese moderno».
Cosa ha rappresentato per lei, da punto di vista professionale, la figura di suo padre?
«Mio padre è stato un esempio e non solo dal punto di vista umano. Quando è scomparso ho perso un maestro. Riusciva ad avere una lucidità tale dal fargli comprendere come la medicina sarebbe cambiata nei prossimi 50 anni. Mi ha indicato la strada che mi ha permesso di svolgere il mio lavoro in maniera originale e innovativa. Gli ultimi anni di vita mi disse “la vita è come una freccia, bisogna guardare avanti, indietro non si può tornare“. E io vado avanti con determinazione entusiasmo e amando questo grande dono che abbiamo avuto, la vita».