di Eleonora Belfiore
Grande successo per la mostra ‘‘Caravaggio Napoliʼʼ, articolata tra il Museo di Capodimonte, nella Sala Causa, ed il Pio Monte della Misericordia, visitabile dal 12 aprile al 14 luglio 2019. Curata da Cristina Terzaghi e Sylvain Bellenger, lʼesposizione consente al pubblico di ammirare alcune tra le più rappresentative opere del controverso artista seicentesco e, al contempo, altre di Giovan Bernardo Azzolino, Giovanni Baglione, Battistello Caracciolo, Belisario Corenzio, Louis Finson, Jusepe de Ribera, Fabrizio Santafede, Massimo Stanzione, Tanzio da Varallo.
Dopo quindici anni dall’ultima esposizione dedicata al Merisi, la mostra approfondisce il periodo napoletano del pittore e, soprattutto, la traccia artistica che Caravaggio ha lasciato nella città che più ha dimostrato di ‘‘comprendereʼʼ e ‘‘riflettereʼʼ il suo spirito inquieto, i suoi tormenti, le sue contraddizioni. La produzione napoletana è frutto delle vicende tumultuose che lo avevano visto fuggire da Roma dopo essere stato coinvolto nell’omicidio di Ranuccio Tommasoni, ucciso probabilmente a causa dei debiti contratti incautamente dal pittore.
Immorale, rissoso, geniale, assassino, folle. Il Merisi arriva a Napoli nel luglio 1606, e già a ottobre riceve il saldo per una Madonna con bambino e santi, oggi dispersa. A gennaio dell’anno successivo, l’artista produce il capolavoro che diventerà un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli artisti che verranno dopo di lui:le Sette opere di Misericordia.
Si sposta poi a Malta, dove nel 1608 riesce a entrare nell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, andando incontro alla rovina: in una rissa ferisce un altro membro dell’Ordine, di grado più elevato.
Braccato dai sicari del cavaliere ferito, ripara in Sicilia per poi tornare di nuovo a Napoli, in cerca di protezione. Gli uomini del suo nemico lo raggiungono e lo feriscono al volto. Caravaggio decide di intraprendere un faticoso viaggio a Roma, per invocare la clemenza del Pontefice. Non raggiungerà mai la città. Morirà a Porto Ercole, nel 1610, in preda ai deliri di una misteriosa febbre, senza sapere di avere già ottenuto il condono papale, colto di sorpresa proprio come quella inerme Sant’Orsola che aveva dipinto poco tempo prima.
In meno di vent’anni ha coronato il sogno di tutti gli artisti: diventare immortale.
Il percorso allestito a Capodimonte si rivela così un vero viaggio nel tempo per rivivere le atmosfere dell’epoca e scoprire i seducenti inganni visivi del pittore.
I visitatori non potranno non restare incantati ammirando La Flagellazione, conservata già presso il Museo napoletano, che l’artista realizzò per la chiesa di San Domenico. Sono presenti anche la Salomè custodita a Londra (National Gallery) e lʼaltra, ancora più ricca di suggestioni, conservata presso il Palacio Real di Madrid. Una Salomè, questʼultima, il cui mantello di un rosso intensissimo e quasi perturbante non può non ricordare i panneggi della controversa La morte della Vergine esposta al Louvre, rifiutata per l’eccessiva crudezza della scena ma principalmente perché Caravaggio aveva scelto una prostituta annegata nel Tevere per dare volto e corpo alla Vergine.
Salomè, la crudele incantatrice, con un’espressione a metà tra il disgusto e la fierezza, diventa la perfetta rappresentazione dell’oscurità del cuore umano, come avrebbe detto William Golding, di cui il Caravaggio è, inevitabilmente, fulgido emblema.
Nelle sue opere, la dimensione divina irrompe nella dura realtà quotidiana, ma non cambia il nostro destino.
Quella del Merisi è una storia di astute lettrici di tarocchi e di ragazzi cresciuti troppo in fretta, di luride bettole pericolose e di palazzi nobiliari, di prostitute e di sante. Ed è, ancora di più, la storia di una danza ambigua con la morte, che l’artista sembra evocare, per poi fuggirle spaventato, invano. L’arte, allora, diventa un modo per ingannare la Grande Ruota, per restare in vita per sempre.
Una mostra da vedere.