di Marco Martone
Adesso che lo scudetto è veramente andato, si possono anche cominciare a fare dei bilanci. Il 2-2 con il Torino ha messo la parola fine a una stagione straordinaria, durante la quale il Napoli ha fatto vedere per larghi tratti il calcio più bello d’Italia e forse d’Europa. Un anno in cui, dopo decenni, si è tornati a sperare nel tricolore. Una stagione talmente esaltante che la conquista della Champions diretta, sfuggita lo scorso anno, appare addirittura come qualcosa di normale, quasi riduttivo. Il Napoli ha regalato gioie ed emozioni, facendo tornare ai tifosi, non solo azzurri, la voglia di andare allo stadio e di innamorarsi di questo sport.
Lo scudetto non è arrivato e le ragioni sono tante, così come le colpe. Qualcuna non imputabile ai calciatori, né all’allenatore, tantomeno alla società. La più grave di tutte e che si chiama “trasgressione delle regole”. Perché quando ci si trova a competere con un avversario che nei momenti topici della stagione viene sistematicamente aiutato da chi dovrebbe limitarsi ad arbitrare le partite, allora la competizione diventa impossibile e il gioco diventa sporco. La Juventus vince il suo settimo tricolore consecutivo perché è la squadra più forte ma anche perché è la più aiutata, quella che incute timore al palazzo, che decide le regole e che sa come aggirarle. La Juve vince perché in Italia è padrona del sistema e perché il sistema è schiavo del potere bianconero. Non si spiegherebbero altrimenti direzioni di gara come quelle viste a Cagliari, Firenze, Benevento e Milano con l’Inter, tanto per citare solo i casi più clamorosi. Ma la Juve vince anche perché l’unica avversaria che si è ritrovata sulla strada, il Napoli, ha ceduto di schianto in un finale di stagione dove aspetti psicologici e tenuta fisica hanno avuto un peso specifico sull’esito finale del torneo.
Gli azzurri hanno avuto un calo subito dopo la sconfitta con la Roma. Da quel giorno alcune vittorie sofferte, Genoa, Chievo e Udinese, la vittoria storica allo Stadium ma anche la sconfitta pesante di Firenze e lo scialbo pareggio con il Torino. Alcuni giocatori non ne hanno più, nelle gambe e nella testa. Mertens, Callejon, lo stesso Insigne, sono calati alla distanza e il loro contributo è andato via via spegnendosi. E qui si può tirare in ballo le scelte di Sarri, vero artefice di questa annata strepitosa ma anche colpevole di non aver gestito sempre in maniera adeguata la rosa a disposizione. Anche con il Torino, partita di fatto inutile ai fini della classifica, il tecnico ha insistito sui soliti, con l’eccezione di Zielinski al posto di Hamsik. Il risultato è stato un pareggio ricco di gol e di strafalcioni, da una parte e dall’altra, con Reina reduce dalla festa d’addio, che toppa la partita e con un Torino che senza grandi sforzi porta via un punto dal San Paolo. Forse dare più spazio, nell’ultimo mese, a giocatori freschi e più motivati, come Milik, Ounas, Diawara e Rog, avrebbe avrebbe consentito ai cosiddetti titolarissimi di arrivare a fine anno in condizioni migliori. Così non è stato e sarà impossibile avere controprove.
Complimenti al pubblico, che ha salutato la squadra con un lungo applauso meno bravi i contestatori del presidente, che auspicano un suo allontanamento senza neanche immaginare l’eventuale alternativa e i disastri che potrebbero derivare dalla cessione di un club che, se ne ricordino i detrattori di Aurelio, è da anni ai vertici del calcio italiano e comunque sempre protagonista in Europa. Unica alternativa alla Juve, per ora…
Adesso si dovrà ripartire, magari con Sarri ma solo se il rapporto con De Laurentiis dovesse essere saldo e di piena collaborazione. Altrimenti si vada avanti senza di lui, con una mini-rivoluzione che preveda, oltre al cambio tecnico, anche l’innesto in rosa di linfa nuova e giocatori di spessore.