di Mariateresa Di Pastena
In questo periodo, l’influenza sta mettendo fuori gioco mezza Napoli, e non solo: tra bambini, adulti ed anziani, sono davvero pochi coloro che sono ancora in campo a giocare la loro partita quotidiana. Una volta sparita la febbre, poi, i sintomi, numerosi e subdoli, continuano ad avvicendarsi e a trascinarsi per giorni e giorni, o addirittura per settimane, mentre ai più sfortunati, et voilà, tocca anche la cosiddetta ricaduta: la febbre ricompare con temperature di nuovo alte, infierendo ancora crudelmente sul già debilitato e provato organismo del malcapitato.
Essere costretti a restare in panchina, si sa, non è certo piacevole, anche perché, al malessere fisico spesso si aggiunge quello psicologico: il pensiero di doversi assentare dal lavoro e dover poi recuperare il tempo perduto ci mette già ansia, ma il sentirsi tagliati fuori dal mondo e rendersi conto che quello stesso mondo gira comunque senza di noi ci fa anche un po’ rabbia!
Allo stesso tempo, l’influenza ci fa tornare all’improvviso tutti bambini: immediatamente il nostro pensiero va indietro nel tempo, a quando la febbre (in napoletano “ ‘a frève ”, che fa ancora più effetto) era sinonimo di coccole, attenzioni, brodini e succhi di frutta, scorpacciate autorizzate di tv, esonero dai compiti e da ogni accenno di rimprovero. Per non parlare della nostra mamma: il termometro era una sorta di bacchetta magica che la trasformava in un battibaleno in una crocerossina dolce e premurosa che si dedicava soltanto a noi. Il resto della famiglia passava, infatti, subito in secondo piano, anzi, (sempre grazie al termometro-bacchetta) quasi spariva e si diventava figli unici.
E’ vero, stavamo male, ma in quel lettino della nostra cameretta ci sentivamo al centro del mondo ed eravamo perfino invidiati perché, per qualche giorno, naturalmente avremmo saltato la scuola!
Ora, per chi bambino non lo è più già da un bel po’ e purtroppo non ha più la fortuna di avere la Mamma (che, finché sarà in vita, si prenderà sempre cura di noi, anche quando potrà sembrare che, per l’età avanzata, non ne sia più capace), si spera che ci sia un’anima buona disponibile. Un coniuge, un figlio, una sorella, un parente qualsiasi, una persona amica o, almeno, una brava vicina di casa, che il termometro bollente possa trasformare, anche solo per un’ora, in un angelo custode, pronto a prepararci un brodo caldo per la nostra gola già in fiamme. Basterà una coccola, anche una sola, per farci tornare il sorriso…
Oppure, se in quel momento della nostra vita, per qualsiasi motivo, siamo soli, allora non dobbiamo perderci d’animo: dopo aver recuperato a fatica le pantofole (che sembra giochino a nascondino sotto il letto), la vestaglia e tanta forza di volontà… andiamo in cucina a prepararci un tè, prendiamo un bel vassoio (magari, proprio quello che ci ha regalato la nostra mamma o ce la ricorda) e qualche biscotto. Poi, però, prendiamoci il lusso di portarcelo a letto e godiamoci il lato positivo dell’influenza: tanto, se proprio non c’è nessuno, ci siamo sempre noi stessi… a prenderci cura di noi!