Chi è Elena Ferrante? E’ un interrogativo che da più di trenta anni attraversa l’universo letterario. Un quesito che ha dimensioni planetarie, visto che l’autrice (autore?) di “L’amica geniale” ha venduto quasi venti milioni di copie nel mondo (con punte particolari negli Stati Uniti) e i suoi romanzi sono stati tradotti in più di quaranta paesi. Ma nonostante questi rivolti e nonostante il morboso interesse suscitato dalle vicende dei protagonisti e delle protagoniste dei suoi libri, è riuscita, incredibilmente, a conservare il segreto sullo pseudonimo che ha scelto per trincerarsi dietro l’anonimato.
In realtà questo segreto è stato, in parte, anzi non solo in parte, scalfito da tutti gli studi scientifici, dalle indagini giornalistiche che hanno identificato chi si nasconde dietro lo pseudonimo Elena Ferrante: sarebbe uno scrittore altrettanto famoso, vincitore di un Premio Strega con il suo capolavoro, “Via Gemito”. Napoletano anche lui, nato anche lui, come la presunta Ferrante, nel 1943 e anche lui frequentatore del Rione Luzzatti, dove sono ambientati “L’amore molesto” e il primo e il quarto volume di “L’amica geniale”.
Domenico Starnone ha sempre smentito, e anche categoricamente. Ma ora questa identificazione subisce un’ulteriore accelerata: Lino Zaccaria, giornalista di lunghissima esperienza, esce, proprio in questi giorni in libreria con “Elena Ferrante, chi è costei?” (Graus Edizioni, prefazione di Titti Marrone) e sin dal titolo, dal chiaro riferimento manzoniano, fa capire che il suo corposo saggio (305 pagine) è mirato ad indagare, appunto, sula paternità delle opere ferrantiane.
Lo fa forte delle sue dirette esperienze giovanili, che sono le stesse, quanto ai tempi e ai luoghi, vissute da Starnone e dalla Ferrante, aggiungendovi particolari del tutto nuovi rispetto a quelli già noti, che riguardano anche i contenuti dei testi, messi a confronto, dei due autori.
Scrive Titti Marrone nella prefazione: “Ma è nella seconda parte del libro che Lino Zaccaria sfodera il suo asso. Questa volta, invece di attingere alle ipotesi altrui, ne elenca di proprie, di prima mano. Inedite. Si intuisce che sono proprio quelle ad aver lavorato in lui, a evocargli familiarità tra gli autori Ferrante-Starnone inducendolo a scrivere: costituiscono il tarlo che è stato in azione nella sua mente scavando progressivamente una pista nitida e sempre più decisa.
Ora. Non ci si aspetti che sia io a “spoilerarle” qui. Bisognerà leggere dal capitolo II in poi per venirne a capo. Basti sapere che le ipotesi qui formulate partono da una circostanza autobiografica: Lino Zaccaria ha tre anni meno di Starnone, non lo ha frequentato ma ha abitato, da bambino e ragazzo, in una delle palazzine dei Ferrovieri del Corso Malta, di fronte al numero 18 di via Zara dove lo scrittore trascorse i primissimi anni della sua vita: una sorta di fotocopia di Rione Luzzatti con biblioteca comunale, venditori ambulanti, pasticciere, salumaio, carrettini (o carrette) assai simili. Come l’autore di Via Gemito, ha frequentato il liceo Garibaldi, non nominato ma evocato anche da chi si firma Ferrante fin nell’ultimo romanzo La vita bugiarda degli adulti. Ne ricorda alcuni aneddoti davvero rivelatori… che non rivelerò. Zaccaria ha percorso le stesse strade che compongono una topografia identica nei libri dei due autori, rilevatrice di suo perché, come direbbe l’italianista Emma Giammattei, proprio l’insieme delle strade è costante misura narrativa del “romanzo di Napoli” fin dall’800. E inoltre comparando i testi ne rintraccia espressioni dialettali comuni, termini non proprio di uso frequentissimo (uno per tutti, “garbuglio”), anagramma nomi…”.
Il libro non è però solo un saggio investigativo. Zaccaria si pone anche il dubbio che possano emergere, dalla lettura comparata dei libri dei due autori, anche argomentazioni che escludano, invece, l’ipotesi-Starnone. Dedica poi varie pagine all’esame del valore letterario delle opere della Ferrante, riprende, dopo molti anni, il ruolo di giornalista di inchiesta e fa varie puntate al Rione Luzzatti, in cerca di testimoni, ripercorre anche la storia di tutti gli scrittori e gli artisti che si sono trincerati dietro l’anonimato e affronta, dal punto di vista tecnico-giuridico, la questione della ipotetica violazione della privacy, sia di Starnone che della moglie Anita Raja (indicata dal giornalista Claudio Gatti quale percettrice di sostanziosi redditi ricavati dalla vendita dei libri della Ferrante) che del fantasma Ferrante.
Insomma una ghiotta grande inchiesta, che finisce per incalzare ulteriormente lo scrittore napoletano e che finirà, inevitabilmente, per alimentare curiosità e polemiche.