(Marco Martone)
Per chi ha qualche capello bianco in più, lui è da sempre il “Baronetto di Posillipo”, soprannome che gli fu attribuito dal grande giornalista Antonio Ghirelli, prima di un Inter-Napoli del 1971, dopo avergli visto fare mirabile in campo. Per Luis Vinicio era “il Corso del Napoli”. Un paragone niente male… Gianni Improta ha fatto della classe e lo stile il suo credo calcistico. Nel Napoli oltre 180 partite, 131 presenze e 15 gol in campionato. Uno specialista nel tirare i calci di rigore. La “rivalità” con Juliano, le esperienze alla Sampdoria, Avellino e Catanzaro, poi il ritorno al Napoli e la chiusura di una gloriosa carriera tra Lecce e Frattese. Ma il calcio per lui è tutto e ha continuato a giocare, anche a calcetto, per beneficenza, per pura passione con amici e giornalisti, sempre con la stessa visione di gioco, la tecnica sopraffina e l’eleganza dei fuoriclasse. Il suo grande cruccio, come per Bruscolotti, la mancanza di una esperienza in quella Nazionale che pure avrebbe meritato. Oggi Improta è club manager della Juve Stabia, recentemente promossa in serie B.
Che anno è stato?
“Dall’inizio alla fine un susseguirsi di emozioni, mai vissute nella mia carriera. Man mano che si andava avanti ci rendevamo conto che potevamo farcela. Ho avuto a che fare con gruppo di ragazzi eccezionali, guidati dall’allenatore Caserta e dalla cognizione logica del Ds Polito. Il tutto grazie a una Società che si è data un assetto che possa durare nel tempo. Qui ci sono tutte le componenti per fare bene”.
E poi ci sono i tifosi.
“Il pubblico ci è sempre stato vicino, dalla prima all’ultima gara. Castellammare ha meritato questo risultato. Ora speriamo che la serie B sia foriera di tante altre soddisfazioni. Il calcio può essere importante anche per la città”.
Per il Napoli, invece, che stagione è stata?
“Il bilancio credo sia positivo. Certo pensavo che la squadra potesse fare anche qualcosa in più, magari non vincere il titolo, perché lo strapotere della Juventus ha sovrastato tutto e tutti. All’inizio però pensavo che non fosse un anno di transizione, mi aspettavo un paio di calciatori di livello. Ho sempre detto che a questa squadra bastavano due elementi abituati a vincere per inculcare la stessa mentalità anche agli altri”.
Tutto rimandato al prossimo anno allora ?
“Il prossimo campionato sarà quello della verità. Quando scegli un allenatore come Ancelotti, un anno per capire e adattarsi lo puoi anche dare ma il secondo qualcosa di importante nella bacheca la devi portare”.
Di cosa c’è bisogno allora?
“Ci vogliono calciatori adattabili al modulo tattico dell’allenatore. Due esterni bassi, un centrocampista di livello. Il regista oggi non c’è, il Jorginho ella situazione manca. Fermo restando la conferma di Insigne, Mertens, Milik e Callejon, ci vuole poi un attaccante importante. Senza attendersi top player, perché quelli non rientrano nella politica della Società”.
Il “suo” Napoli era molto diverso da questo?
“Se penso a quella formazione… Noi adottavamo il 4-2-3-1. Giocavamo con Zoff, Monticolo, Pogliana, Panzanato, Zurlini, Juliano, Bianchi, Sormani, Altafini, Ghio e Improta. (L’allenatore era Chiappella). Ora sono cambiate anche le regole e il modo di giocare ma con la zona e la libertà che c’è oggi, forse quel Napoli avrebbe fatto sfaceli. Penso che anche quelli del Napoli attuale, hanno nelle corde quel modulo che facevamo noi”.
Parliamo di Universiadi. Da uomo di sport come le sta aspettando?
“Ho avuto modo di toccare con mano l’importanza di questo evento. Il nostro stadio, il Romeo Menti, ha usufruito di un restyling importante negli spogliatoi. È un appuntamento che bisogna, in qualche modo, “sfruttare” come l’inizio di un percorso per la città e la regione. Non si può avere strutture fatiscenti. Le istituzioni stanno facendo la loro parte e visto che “l’appetito vien mangiando”, allora la speranza e che alle Universiadi possano seguire tante altre iniziative per la crescita dello sport a Napoli e in Campania”.
(Intervista pubblicata sul quotidiano: NAPOLI)