di Maica Rotondo
Era un giorno assolato e tirava un bel vento fresco quando mi fermai davanti alla vetrina di un negozietto vintage su San Biagio dei librai. Tornavo da una riunione con il comitato civico del mio quartiere che si chiama Rinascita di Forcella e noi tutti eravamo in fibrillazione perché il comune, tramite l’assessorato giovani , si era messo a disposizione per offrirci , in occasione del carnevale, una sfilata del Circuba, un gruppo di atleti e acrobati dell’accademia nazionale di Cuba, a Napoli proprio in quelle settimane con il proprio spettacolo. Ci avevano chiesto di accoglierli nel miglior modo possibile e che per noi, per il quartiere, sarebbe stata una grande occasione per dimostrare di essere uniti e attivi. Un carnevale numero zero per poter dare il via a tante attività future. Meno di venti giorni di preparazione erano stati però un grande scoglio da superare. Per quanto il comitato, giovanissimo, potesse contare su un numero di iscritti facebook pari a 800 membri, in realtà gli elementi attivi erano pochissimi. Ma appunto l’opportunità era grande e non volevamo in nessun modo farcela scappare: non c’era mai stato nessun carnevale a Forcella e, se vogliamo dirla tutta, nessun Natale (per avere le luci natalizie abbiamo lottato fino all’ultimo quest’anno) e nessuna altra festa, se non passerelle del politico o dell’uomo in vista di turno che hanno sempre usato il quartiere senza aprirsi ad una reale partecipazione.
Noi invece volevamo farlo, volevamo tutti gli abitanti di forcella in strada, volevamo vincere il pregiudizio che tutti hanno del – qui non succede mai niente, non cambierà mai niente- detto o pensato con il cuore rassegnato di chi ha vissuto solo soprusi e abbandono. Così armati di coraggio e fiducia nell’impossibile ci eravamo messi all’opera contattando mamme, vicini di casa, commercianti, associazioni, scuole di danza, facendo volantinaggio per strada e davanti alle scuole…insomma una comunicazione massiva che ci ha spinto a guardarci in faccia, a comunicare, conoscerci, ri-conoscerci.
La paura di sbagliare era tanta, avevamo il timore di non riuscire a smuovere le persone, a convincerle che non si trattava di una fregatura ma di un‘occasione per fare festa e giocare con i bambini, temevamo di non essere riconosciuti come comitato, di trovare anche ostilità, insomma di non riuscire nell’impresa. Così quel giorno ,all’indomani del 5 marzo, davanti alla vetrina del negozietto di San Biagio fui rapita da un abito di carnevale,nascosto in mezzo ai tanti che la proprietaria aveva esposto su un appendiabiti fuori all’ingresso. Era un Pierrot di raso rosso, nero e bianco, con una gorgiera di tulle leggero. Era cucito bene. Subito immaginai questo pagliaccio triste e malinconico a Forcella, una maschera che nasce in italia nel milleecinquecento vestendo inizialmente un servo astuto e scaltro ma che nei secoli si ammorbidisce per diventare un innamorato di amori impossibili : Pierrot ama sia Colombina, che però ama Arlecchino, sia la luna che è irraggiungibile e inconquistabile. Così presa da un istinto irrefrenabile pensai :”Forcella vuole la luna!! E la luna avrà !“. Noleggiai l’abito e corsi a casa. Così quel pomeriggio di martedì grasso mentre ballerini cubani danzavano per strada e i politici si davano da fare, centinaia di persone si riversavano su via Forcella: bambini, mamme, ragazzi , nonni e papà, associazioni, giornalisti, telecamere e fotocamere, coriandoli, magliette colorate, maschere di ogni tipo tra balli e tanti tanti sorrisi come non se ne erano mai visti nel nostro quartiere. Erano tutti felici, di quella felicità compressa da tempo in petto ed esplosa all’improvviso con tutta l’allegria e la tristezza di questo mondo. Un vulcano in eruzione di gioia e dolore, speranza e abbandono, frutta fresca e sigarette di contrabbando. A volte basta poco, a volte basta solo un po’ di attenzione e di cura, e quel Pierrot che piange perché vuole la luna, capisce che la luna non è così lontana come sembra. Il cuore si alleggerisce, le lacrime lasciano spazio ai sorrisi, le mani stringono quelle dei bambini. Così, si spera, inizia il cambiamento.