di Marco Martone
Quando partecipi a una competizione o una gara e il tuo piazzamento finale è il 104esimo posto, risulta molto difficile accampare scuse, difendersi dall’insuccesso, replicare anche alle accuse, spesso piene di pregiudizio, che ti vengono rivolte. Quando arrivi ultimo o pressappoco, in una classifica che indica la qualità della vita in Italia, l’unica cosa che sarebbe opportuno fare è nascondersi dietro una pudica vergogna, rimboccarsi le maniche e provare ad invertire lo stato delle cose. Napoli oggi è un concorrente che risulta schiacciato da avversari più forti, virtuosi, abili o semplicemente più furbi. E quindi Napoli arranca, nelle sue miserie e nei suoi drammi quotidiani, spesso piangendosi addosso, molto più spesso sentendosi vittima di chissà quale ingiustizia divina. Come se i mali endemici della città non dipendessero, in larga misura, proprio dall’essere napoletani e dal modo in cui questa napoletanità viene vissuta, ogni giorno.
La classifica annuale di ItaliaOggi e dell’Università La Sapienza di Roma, stilata in collaborazione con Cattolica Assicurazioni e giunta alla sua ventunesima edizione, è impietosa in tal senso. Napoli è al 104° posto e la provincia partenopea resta terz’ultima, seguita solo da Crotone e Agrigento. Fatto il doveroso mea culpa non possono passare però in cavalleria le critiche pretestuose, i pregiudizi, i tweet al veleno del Cruciani o del Vernazza di turno. Il giornalista della Gazzetta dello Sport, che nei giorni scorsi parlando di un ipotetico arrivo a Napoli di Ibrahimovic aveva detto testualmente che “Ibra è cresciuto a Rosengard, il ghetto di Malmoe che ha poco da invidiare a certi quartieri napoletani malfamati”.
Uno sforzo di fantasia da primato del qualunquismo, paragonabile solo all’epoca in cui si disse che i soldi della camorra servirono a comprare Maradona oppure ancora più in là col tempo, quando si rinfacciò a Ferlaino l’errore di aver comprato Savoldi quando a Napoli c’era il colera e sarebbero serviti ospedali più che calciatori. Vernazza ha colto la palla al balzo per fare in modo che si parlasse di lui e del suo giornale, perché quindici minuti di notorietà non si negano a nessuno e parlare (male) di Napoli è sempre garanzia di successo. Lo sanno anche molti napoletani, che mostrano finto amore per la città o per la squadra della città e poi lanciano strali di fuoco alla prima occasione, sotto il ghigno perfido dei perdenti.
Vernazza è tornato sull’argomento, questa volta provando addirittura a dare una lezioncina privata di educazione e comportamento ad un’intera popolazione. Ecco il “Vernazza pensiero”, affidato ad un tweet: “Invece di guardare il dito, e di accodarvi a mestatori e retori da due soldi, concentratevi sulla luna”. Grazie Vernazza, avevamo proprio bisogno delle tue indicazioni per sapere che qui su quella che tu chiami “luna” ci si concentra ogni giorno, ogni ora e ogni istante della giornata. Perché noi a Napoli viviamo e di Napoli, a differenza di tanti altri, conosciamo i tanti problemi ma anche le innumerevoli virtù. Noi sappiamo quanto siano malfamati i quartieri nei quali, secondo te, Ibrahimovic si troverebbe a meraviglia e sappiamo anche quali siano i luoghi dove si respira tanta di quella arte e di quella cultura che farebbero venire il mal di testa anche ad un bravo giornalista della Gazzetta dello Sport. Conosciamo Napoli e conosciamo il pressappochismo spicciolo di chi si mette sul pulpito e vomita banalità travestite da colonne di pagine di giornale. Le classifiche che ci relegano agli ultimi posti ci spaventano e ci fanno incazzare, più di quanto non stimolino la tue perfida voglia di prenderci in giro. E per risalire anche una sola posizione di quella classifica, a Napoli c’è gente che sputa sangue ogni giorno. Senza ascoltare lezioncine da quattro soldi, perché prima di te lo hanno fatto tanti altri ma nessuno ha mai detto qualcosa che non sapessimo da secoli. Noi che Napoli la viviamo, noi che siamo Napoli, ultimi in tante classifiche ma che se ci voltiamo un solo istante, vi vediamo arrancare alle nostre spalle.