di Mariateresa Di Pastena
Credo che ognuno di noi si domandi spesso che cosa possa spingere una persona ad essere violenta nei confronti di un’altra. Come possa un essere umano maltrattare, ferire, arrivare perfino ad uccidere un altro essere umano. E questo ce lo chiediamo a prescindere dal sesso della vittima o del carnefice. Di sicuro, la maggior parte delle persone la risposta non la trova, perché una risposta, un motivo valido, non c’è, e non potrà esserci mai. La violenza, in ogni sua forma e in ogni sua manifestazione, è da condannare e da biasimare, sempre. Se pensiamo ad uno schiaffo, e poi alla guerra, le due cose ci sembrano, e lo sono di certo, molto distanti l’una dall’altra. Eppure sono poli estremi di un mostro chiamato violenza che potremmo paragonare ad una scala abominevole, piena di gradini. Man mano che sale, la violenza mostra i suoi denti avvelenati, la sua crudeltà, trasformandosi in tante altre forme che cambiano nome. Ogni anno ci ritroviamo, il 25 novembre, a ribadire il nostro ‘no alla violenza sulle donne’ (che è quotidiano) e, nonostante ciò, a perdere il conto di coloro che ancora la subiscono. Violenze psicologiche e fisiche che spesso nascondono retaggi culturali, che nascono da discriminazioni e pregiudizi primordiali e duri a morire. Le violenze fisiche ( ma anche quelle verbali) sono di certo le più esecrabili. Per non parlare dei femminicidi, incommentabili e disumani, come tutti gli omicidi. Anche le violenze psicologiche non sono da sottovalutare, prima di tutto perché potrebbero essere un campanello d’allarme per poi spingersi oltre, e poi perché sono molto comuni e sono le più subdole, infatti si nascondono nelle parole e nei piccoli gesti di chi le mette in atto. E feriscono l’anima. A volte possono venir fuori anche da uno sguardo. O da un silenzio.
È inutile nasconderlo: ancora oggi, purtroppo, ci sono uomini (speriamo siano sempre meno) secondo i quali le donne NON sono uguali a loro. O meglio, non le considerano pari a loro. Alcuni uomini hanno ancora difficoltà a confrontarsi e a dialogare con le donne senza imporsi o prevaricare, o senza pensare di avere ragione a prescindere. E questo può accadere ovunque, visto che non dipende dai luoghi ma dalle persone, quindi in ambienti lavorativi, pubblici, familiari. Per costoro, guai ad essere contraddetti da una donna! Lo vivono come un affronto, come un attentato alla loro virilità. Ancora una volta, pensiamo che la famiglia e la scuola siano fondamentali nella prevenzione e nella ‘cura’ di pregiudizi, discriminazioni e luoghi comuni in generale, e quindi anche nel ribadire con forza la parità di genere. Forse, nelle famiglie, bisognerebbe partire dall’inizio… Pensiamo ad esempio alla scelta del colore, rosa o celeste, del corredino di un neonato: perché non scegliere entrambi? E poi a quella dei giocattoli che i bambini e le bambine ricevono in regalo: perché non far giocare loro indifferentemente con bambole e macchinine? E, ancora, quando si sceglie un’attività sportiva per un figlio, bisognerebbe farlo sempre prevalentemente in base ai suoi gusti o alle sue attitudini, e non al suo sesso. Se dipendesse dai bambini, infatti, loro non farebbero mai distinzioni in tal senso. Non le farebbero mai, in generale. Ma, crescendo, poi, quegli stessi bambini, oltre a ricevere un’educazione, prendono soprattutto esempio da chi gliela impartisce, e quindi dagli atteggiamenti, dai gesti, dai ragionamenti. Come docente, negli anni, mi è capitato, anche se per fortuna rare volte, che qualche alunno si rifiutasse di sedersi accanto ad una compagna, solo perché, ‘era una femmina’. Durante alcune lezioni, poi, parlando di emancipazione femminile e parità di genere, quindi dialogando e ascoltando i vari interventi degli alunni, mi è capitato di sentir dire da qualcuno di loro che le donne non dovrebbero lavorare, ma ‘stare a casa a fare i servizi’ e ‘pensare ai figli’ , e via dicendo. Non è facile spiegare, e soprattutto far capire, agli adolescenti che la pensano così (pochissimi, ripeto, per fortuna), che le loro teorie sono assurde, ingiuste e molto pericolose. Ma ce la mettiamo tutta, e finché ci sarà anche uno solo di loro che la pensa in questo modo, non smetteremo di parlarne, e non smetteremo mai neanche dopo. Perché, anche quando sembra che non ci sia nessuno che discrimina una donna in quanto tale, non si sa mai. Anzi, insieme ai nostri bambini e ragazzi, voltiamoci sempre indietro, per ripercorrere la storia, e per non smettere mai di ammirare coloro che hanno lottato per i nostri diritti. Quelli che riguardano le donne e non solo.