di Marco Martone
Come il ritratto di Dorian Gray, che non invecchia e non svilisce, come una pianta sempreverde, che non non lascia cadere le foglie durante la stagione avversa.
Diego Maradona resta aggrappato al suo glorioso passato, rimodellando la propria vita piena di spine e di dolori, attraverso esibizioni più o meno dignitose, alla stregua di un novello Buffalo Bill, triste controfigura di ciò che è stato. Una gallina dalle uova d’oro, una fonte inesauribile per i tanti che continuano a sfruttarlo, senza alcun rispetto, né per lui né per la sua storia.
Inviti in Tv, apparizioni in talk show di dubbio gusto, serate di gala al San Carlo, appelli più o meno credibili a collaborare con il nuovo Napoli di De Laurentiis, ipotesi così lontana dalla realtà da essere anche difficilmente commentabile. E per finire la serata nella piazza simbolo della città, nel giorno stesso in cui, oltre 30 anni fa, il Pibe de Oro si presentò ai suoi nuovi tifosi, in uno stadio gremito da migliaia di persone giunte lì soltanto per vedergli fare tre palleggi e proferire quattro stentate parole in italiano. Gli anni però, anche per Diego, sono passati e il senso di determinate operazioni andrebbe valutato con maggiore attenzione, se non con maggiore onestà.
La festa per la consegna della cittadinanza onoraria, preceduta da una serie di polemiche grottesche e penose è stata solo un pretesto politico per mettere in scena l’ennesima fiera da baraccone alla napoletana, che in qualsiasi città del mondo si sarebbe limitata ad una sobria cerimonia nel palazzo della Città e che a Napoli, invece, è diventata show mediatico e farsa pulcinellesca.
L’esibizione in Piazza del Plebiscito, per chi ha amato Maradona, è stata un insulto ai ricordi, alla memoria di un passato irripetibile, alla sacralità di un sentimento e al rispetto per un trionfo che andrebbe custodito nel profondo di ognuno dei nostri cuori e che invece è stato ancora una volta svilito, offeso e sfruttato da personaggi in cerca di gloria, molti dei quali, con quello scudetto e con quelle magie non hanno avuto nulla a che vedere.
Maradona è andato incontro a circa diecimila persone, molte meno delle oltre trentamila previste. Curiosi più che innamorati. E Diego ha fatto i conti con la sua realtà, con il tempo che non torna e con l’uomo che è adesso. Pseudo comici, presentatori della moderna Tv, cantanti e attori in prima linea non servirono trent’anni fa per unire Diego ai napoletani, quando bastarono quattro stentate parole e due palleggi all’interno del San Paolo.
E i tifosi veri l’hanno capito, lasciandosi Diego alle spalle, preferendo un dignitoso distacco ad una malinconica solitudine. Forse perché, in fondo, anche nel paese di pizza e mandolino, comincia a farsi largo la consapevolezza che ciò che veramente conta è il confronto con il presente, il lavoro per il futuro e l’ambizione verso nuovi trionfi e nuova vittorie. Il Napoli di Mertens e Insigne, di Milik e Hamsik, insomma i campioni di oggi, giustamente lontani in questa serata che non gli appartiene.
E Diego, ancora una volta, è stato la vittima di un sistema malato che gli ha succhiato la vita e continua a farlo, senza vergogna.