Carissimi fratelli e sorelle,
siamo qui, insieme, come comunità diocesana, perché si apre oggi una porta invisibile, la porta santa del cuore di Dio: una porta che invita, accoglie e abbraccia. In realtà è una porta sempre spalancata ma che spesso, distratti dall’ordinario, affaccendati dietro il tanto da fare, non vediamo. Guardarla insieme, incoraggiarci a vicenda nel varcare la sua soglia, è invece l’inizio di un cammino, di un respiro di grazia, di un tempo in cui le ferite possono divenire spiragli di luce, di un tempo che profuma di libertà, di guarigione, di perdono, di riscatto. Siamo qui perché questo Giubileo è l’eco di una promessa: nessuno è escluso dall’amore, nessuno è dimenticato dalla speranza.
Siamo qui nel segno della Croce, della sua Croce, del Crocifisso Risorto, di quella Croce in cui tutte le nostre croci trovano senso, diventando provvisorie, illuminando di speranza il presente e diresurrezione il futuro. Proprio per questo abbiamo aperto la processione di inizio con la croce di Lampedusa, una croce di legno e sale che racconta le storie di chi ha attraversato il mare cercando vita e trovando troppo spesso morte. È una croce che porta dentro tutte le croci: quelle degli abbandonati, dei feriti, di chi cerca un domani ma vive un oggi faticoso, denso di ferite e dolori. Questa croce non è solo un segno: è un ponte, un faro, una promessa. Rappresenta la speranza che non tradisce, che non confonde, che non delude, ma che illumina anche la notte più buia.
Nel Giubileo, il primo passo lo fa lei: a ricordarci che fede è riconoscere il dolore del mondo e trasformarlo in amore, in accoglienza, in un futuro che abbraccia tutti senza lasciare ai margini nessuno. Il Giubileo non è infatti soltanto una celebrazione, un rito, ma una possibilità concreta che ci è data per ascoltare il respiro di Dio che soffia sulle nostre vite per liberarci dalle catene e riportarci alla nostra dignità di figli amati. In quest’anno santo siamo invitati dal Signore a volgereancor di più lo sguardo verso il cielo, ma con i piedi ben piantati a terra, nella realtà di questa nostra terra, con le sue ferite, i suoi dolori e, soprattutto, con il suo cuore grande, per trovare nel Vangelo le risposte più profonde alle nostre domande, alle domande di questo nostro tempo. Le domande, quanto sono importanti le domande, quelle che ci muovono, che ci rendono inquieti perché abitati dal desiderio, dalla ricerca, dal bisogno di trovare risposte.
Anche il Vangelo che abbiamo ascoltato ci mette dinanzi alle domande di Giuseppe e Maria, alla loro ricerca di Gesù, ritrovato – dopo giorni di paura e smarrimento interiore – nel tempio, immerso nelle cose del Padre. Quante volte, anche noi, come Maria e Giuseppe, ci sentiamo smarriti e impauriti? Pensiamo di avere tutto sotto controllo, poi basta un imprevisto e ci sentiamo persi. Ma è proprio lì, nel tempo dell’attesa e delle domande, che il Signore ci chiama a fare un passo nuovo. Non sempre è facile comprendere le sue vie: anche Maria, che lo amava più di chiunque altro, non capisce subito le parole di Gesù. Ma non si arrende, le custodisce nel cuore, perché sa che la fede non è capire tutto, ma fidarsi. E allora questo Vangelo ci chiede: cosa cerchiamo davvero nella nostra vita? Dove stiamo guardando? Gesù, ritrovato nel cuore del tempio, afferrato dal desiderio di occuparsi delle cose del Padre, dialoga con coloro che ne cercano il volto, invitandoci così a tornare al centro, a rimettere Dio al primo posto, non come un’idea lontana, ma come una presenza viva, che parla alle nostre domande e ai nostri desideri. Lui non ha risposte preconfezionate, ma è lì che ascolta, che interroga, che dialoga. Forse è questo che dobbiamo imparare: metterci in ascolto, accettare di non avere subito tutte le risposte, ma fidarci del Padre che ci guida. La vita è un cammino, non sempre chiaro, ma se rimaniamo nelle “cose del Padre” – nella sua Parola, nella sua volontà – possiamo ritrovare il senso, anche dopo giorni di smarrimento. Oggi il Vangelo ci consegna questa speranza: anche quando ci sentiamo perduti, Gesù è già lì, ad aspettarci. Non dobbiamo fare altro che camminare verso di Lui, fidarci e, come Maria, custodire con tenerezzatutto nel cuore, lasciando che Dio faccia nuove tutte le cose, anche le nostre certezze e i nostri schemi, spesso così resistenti alla novità di Dio.
Fratelli e sorelle,
il tempo del Giubileo si apre oggi davanti a noi come una porta spalancata sull’amore, sulla misericordia tenerissima di Dio, che è Padre, che è Madre, che è Speranza infinita. È un tempo di grazia, un tempo di guarigione e di libertà, un tempo in cui il Signore, si piega sulle ferite del mondo, invitandoci a guardare oltre l’orizzonte delle nostre paure. “Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, a rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4,18). Queste parole di Gesù, lette nella sinagoga di Nazaret, sono le parole di oggi, per questa Chiesa di Napoli, per i suoi vicoli, le sue piazze, i suoi cuori che cercano una luce nuova. Questo è il Giubileo della Speranza: il tempo in cui volgiamo lo sguardo ad un Dio vicino, che si fa medico e guaritore, che ci perdona, che si fa liberatore per ogni uomo e donna.
Permettetemi di raccontarvi un momento che porto nel cuore da qualche giorno, dopo essere stato al Pausillipon a trovare i bambini e i ragazzi ricoverati. Per salutare uno di loro ho dovuto indossare dei calzari, un camice e una cuffia. Pensavo fosse un gesto solo pratico, sanitario e in effetti lo è ma poi, nella preghiera, ho capito che quei tre segni racchiudono un messaggio profondo, un simbolismo che è utile a noi oggi, all’inizio del cammino giubilare:
I calzari sono il simbolo del cammino. Entrare in quel reparto significava percorrere una strada nuova, farsi piccoli per incontrare il mistero della vita ferita. Anche il Giubileo è un cammino: un invito a metterci in movimento, a lasciare le nostre comodità per andare incontro agli altri, specialmente ai poveri, agli oppressi, a chi si sente abbandonato. Mosè davanti al roveto ardente si tolse i sandali perché riconobbe che la terra che calpestava era santa (Es 3,5). Anche la nostra città metropolitana è una terra santa, perché qui Dio abita nei vicoli, nei cuori, nella vita di ogni persona, soprattutto dei più poveri e dei più feriti.
Il camice ci richiama al servizio. In quel reparto, indossare il camice significava proteggere la vita, essere al servizio di quei piccoli che lottavano per respirare. Così anche noi, nel Giubileo, siamo chiamati a indossare il grembiule del servizio, come Gesù che si cinse un asciugamano per lavare i piedi dei discepoli (Gv 13,4-5). Il Giubileo è il tempo in cui possiamo rivestirci della misericordia di Dio per diventare misericordia per gli altri. È il tempo in cui la Chiesa deve essere sempre più serva, vicina, madre per chi è fragile.
La cuffia mi fa invece pensare alla mente e al cuore che devono essere custoditi. In un mondo rumoroso, pieno di distrazioni, la nostra coscienza ha bisogno del silenzio necessario ad ascoltare la voce di Dio, a discernere ciò che è essenziale. In questo Giubileo, siamo chiamati a fare spazio al silenzio, alla preghiera, a un ascolto profondo che ci permetta di riconoscere il soffio dello Spirito, che guida i nostri passi verso ciò che è vero, bello, buono, giusto.
Fratelli e sorelle, questo Giubileo è il tempo in cui dobbiamo consentire a Dio di fasciare le nostre ferite, per fare altrettanto con coloro che incontriamo. È il tempo in cui il povero, l’emarginato, il peccatore trovano il riscatto della propria dignità. È il tempo in cui le catene dell’ingiustizia, della violenza, della corruzione attraverso di noi possono spezzarsi. È il tempo in cui prendiamo sul serio l’invito di Dio a custodire la terra, nella consapevolezza che è il luogo sacro pieno della Sua presenza, la casa comune da abitare con rispetto, stupore, e cura! È il tempo di rimettere i debiti, di restituire dignità a chi vive oppresso dal peso dell’ingiustizia perché condonare il debito ai paesi poveri non è solo un gesto economico, ma un atto di giustizia e di onestà, soprattutto perché a volte gli aiuti offerti, i prestiti donati, sono stati preamboli di nuove forme di dominio e sfruttamento, che oggi più che mai devono cessare! È il tempo in cui prendendoci per mano e operando la giustizia possiamo aprire nuove strade di pace. È il tempo in cui ognuno di noi, riscoprendo il proprio battesimo, può diventare artigiano di speranza, di quella speranza di cui il mondo ha bisogno.
Terra mia, Chiesa partenopea, viva e ardente, questo è il tuo tempo! Sii luce che illumina i vicoli più bui, sii mano che rialza chi è caduto, sii voce che annuncia la libertà di Dio. Sii madre che consola, padre che protegge, amico che cammina accanto.
Il Giubileo non è un dono solo per te, ma è un dono che sei chiamata a condividere con tutta la nostra città: il dono della Misericordia! È il tempo in cui tu, Chiesa di Napoli devi alzarti e camminare, diventando strumento di liberazione per chi vive oppresso. Quanti prigionieri ci sono tra noi! Non solo chi vive dietro le sbarre di un carcere, ma anche chi è prigioniero della povertà, della solitudine, della violenza, della mancanza di speranza. Questo è il tempo in cui Dio ti chiede e chiede a tutti di aprire le porte, di spezzare le catene, di restituire dignità a chi l’ha perduta, annunciando con un nuovo entusiasmo la buona notizia della Pasqua!
Sorelle e fratelli,
il Giubileo è un invito a sperare. In un mondo spesso segnato dalla sfiducia, Dio ci chiama a guardare oltre, a credere che il futuro è nelle sue mani, che c’è ancora spazio per la speranza. E la speranza non confonde, la speranza non è un’illusione: è un cammino concreto, fatto di piccoli passi, di gesti semplici che costruiscono il Regno di Dio.
E allora, con i calzari necessari al cammino, con il camice del servizio e la cuffia del discernimento, entriamo in questo Giubileo con coraggio.
Lasciamo che il Signore ci liberi, ci perdoni, ci guarisca, ci renda uomini e donne capaci di speranza.
Che questo tempo santo ci trasformi e renda la nostra Chiesa e la nostra città un segno di risurrezione per il mondo.
Amen.