(di Mariateresa Di Pastena)
Nell’era in cui la parola ‘fantasia’, purtroppo, fa sempre meno rima con la parola ‘tecnologia’, assistere, al Teatro Diana, ad una versione teatrale di “Alice nel paese delle meraviglie” (in origine, un romanzo fantastico, pubblicato per la prima volta nel 1865 dal reverendo inglese Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, scrittore e matematico), rivisitata dal regista, nonché attore, drammaturgo e scrittore Peppe Celentano, e dedicata agli studenti, è davvero emozionante. Il filo conduttore dello spettacolo è proprio il delicato e difficile passaggio dall’infanzia all’adolescenza. I vari personaggi (come il Coniglio, che conduce Alice in un modo misterioso, attraverso una tana), già noti al pubblico più giovane, si muovono con grande grazia sul palco indossando bellissimi costumi, recitando e cantando anche delle canzoni molto suggestive, e, tra coreografie e scenografie da fiaba, trascinano Alice in un vortice di atmosfere magiche e poetiche. Durante lo spettacolo, gli attori interagiscono spesso con il giovane pubblico, sempre attento ed entusiasta, che, alla fine, ha anche la possibilità di rivolgere delle domande a tutto il cast del teatro. Cast bravissimo e coinvolgente, già noto alle scolaresche per i tanti spettacoli che ogni anno riserva loro, spettacoli che spaziano da temi sociali ed attuali, nonché storici, a rappresentazioni più soavi e leggère ma sempre foriere di messaggi fondamentali, che rinforzano, e trasformano in immagini, le tematiche solitamente trattate nelle scuole. Ricordiamo, tra gli attori, Gabriella Cerino, che cura anche i costumi, Massimo Masiello, Emanuele Pacca, Lorena Bartoli, Diego Sommaripa, Paolo Gentile, Priscilla Avolio, che è anche la coreografa, Gennaro Cassini e Ilaria Langella. E naturalmente il bravissimo Peppe Celentano, disponibile e gentilissimo, al quale abbiamo rivolto delle domande,
Il sodalizio con la scuola, per cui le va riconosciuto un grande merito, è un valore aggiunto del Teatro Diana: il vostro impegno, quello suo e di tutto il cast, si rinnova di anno in anno, e sempre con enorme successo. Che cosa partorisce, secondo lei, di bello, il binomio scuola-teatro?
Sono quindici anni che lavoro con il teatro Diana e gli spettacoli destinati ai bambini e ai ragazzi sono incentrati su varie tematiche moderne, come ad esempio il bullismo, l’integrazione, la criminalità organizzata, la Terra dei fuochi, l’uso non sempre adeguato dei social. Il tutto attraverso un linguaggio adatto a loro e raccontando delle storie in cui possano immedesimarsi. Alterniamo naturalmente il sociale e l’attualità a delle fiabe, come nel caso di “Alice…”, ma, in ogni caso, cerchiamo un modo di approcciarci a loro che possa arrivare al loro cuore e aiutare la loro crescita ed il loro cammino verso una vita futura, una vita di riscatto. Questa credo sia la nostra arma vincente.
Quali sono le soddisfazioni e quali invece le difficoltà, oggi, nel fare teatro?
Le prime consistono proprio nel riuscire a trasmettere ai ragazzi qualcosa che arrivi e resti, poi, dentro di loro. E, per poterlo fare, dobbiamo crederci noi per primi, altrimenti come potrebbero crederci loro? Non sopporto quando, chi fa questo mestiere, si approccia ai giovani con aria di sufficienza. In generale, e qui passiamo alle difficoltà, il nostro è un lavoro complicato, per varie problematiche, come la mancanza di mezzi. risorse e fondi, quindi l’impegno e la consapevolezza devono essere sempre fondamentali.
Se dovessi dare un consiglio ai giovani che volessero intraprendere questa strada, direi di darsi come tempo dai diciotto ai trent’anni massimo, e di avere tanta determinazione e pazienza. Se, passati diversi anni, non si ottengono dei risultati, sarebbe opportuno cambiare strada. Spesso le certezze, che già normalmente scarseggiano nel lavoro in generale, nel teatro sono davvero poche… Perciò bisogna avere una carica enorme per andare avanti…
Napoli e il teatro… Chi e che cosa le vengono in mente associando queste due meravigliose parole?
La prima cosa che vedo è l’immagine di Eduardo De Filippo, che ci ha rappresentato nel mondo! Ancora oggi rimango stupefatto nell’ammirare gli spaccati, da lui messi in scena, di vita del nostro paese. E poi Totò! Ma Napoli tutta è la patria del teatro, della poesia, dell’arte. Purtroppo, spesso, anche della cosiddetta “arte di arrangiarsi”, che un po’ contraddistingue il nostro popolo napoletano, e che può essere a volte utile, ma non ad esempio nel nostro lavoro!
Quali sono i segreti per chi fa questo mestiere, e quali invece i rischi e i pericoli?
Il segreto è proprio quello di riuscire a carpirne i segreti attraverso chi ha esperienza. A me succede ancora, nonostante faccia questo mestiere da tanti anni… Mi è successo lavorando con Peppe Barra, ne “La Cantata dei Pastori: non smettevo mai di osservarlo e di imparare. Con Nello Mascia, con Carlo Cerciello, che si occupa di un tipo di teatro all’avanguardia. Non si finisce mai di imparare…
Lei vanta una splendida carriera ricca di versatilità e grande professionalità: come ha mosso i primissimi passi? E che cosa sognava da bambino?
Ho iniziato proprio da bambino, a scuola, presso i Salesiani. Frequentavo da esterno, e facevo le prime recite, poi c’erano dei laboratori teatrali. Si notava già la mia predisposizione per questo mestiere. Poi ho ripreso qualche anno dopo ed è diventato il mio lavoro! Che non finisce mai di sorprendermi… Ultimamente ho avuto modo di lavorare all’interno del Pio Monte della Misericordia ed è stato un vero abbraccio di ‘arti’.
Un sogno ancora chiuso nel cassetto?
Più che un sogno, è un rammarico: quello di non essere riusciti, la mia compagna ed io, l’attrice Gabriella Cerino (lavoriamo insieme), ad avere uno spazio tutto nostro, un teatro, anche piccolo, con sessanta, settanta posti, ma nostro! Ma … non si sa mai!