di Mariateresa Di Pastena
“Polvere di Las Tunas” (di Marco Martone, Graus editore -Tracce, 96 pagine, 12 euro, prefazione di Lino Zaccaria), non è una mera descrizione delle caratteristiche, delle tradizioni e delle peculiarità del capoluogo di un’importante provincia della Cuba orientale e del suo popolo. E non è nemmeno soltanto il racconto dei vari viaggi dell’autore, di cui essa è stata meta. E’, prima di tutto, una vera e propria storia d’amore, tra Napoli e Las Tunas, quella raccontata da Martone, (noto ed apprezzato giornalista, nonché editore di questa testata on line), una grande complicità, di cui egli diventa mediatore e protagonista al tempo stesso. Il parallelismo tra queste due città, che, nelle pagine del libro, si incontrano, si abbracciano, e, a volte, si scontrano, è talmente tenero ed autentico (e denota un amore sviscerato per entrambe), da scatenare nel lettore, anche in quello più pigro, una voglia incredibile di visitare quel luogo. Napoli rappresenta le radici dell’autore, Las Tunas, invece, le sue ali: e sono state proprio queste ultime a portarlo lì, per la prima volta da ragazzo, dapprima in cerca di avventura e di luoghi esotici, per poi riportarlo con i piedi per terra, nella sua terra, ad incontrare qui la donna della sua vita, originaria proprio di Las Tunas! E come si fa a non credere nel destino?
Mentre si legge la storia della città (che deve il suo nome a “la tuna’, la pianta di cactus che ne è il simbolo), sembra di vederla scorrere, percorrendola seduti proprio sulla ‘pachanga’ su cui è salito l’autore: il carretto antico, trainato dai cavalli, il mezzo di trasporto più comune (ma anche il nome di un genere musicale tradizionale) e che trasporta, insieme ai viaggiatori, anche le loro speranze, la loro dignità, diventando luogo di vigilia del duro lavoro che li aspetta. Anche i tuneri, fa notare l’autore, come noi napoletani, fanno dell’arte di arrangiarsi la loro arma vincente per superare le difficoltà; anche loro parlano a voce alta e stendono i panni fuori al balcone, e, soprattutto, sottolinea, hanno un’identità culturale molto forte, essendo stati, come noi, un popolo che ha subìto soprusi. A tal proposito, Martone ricorda due giovani napoletani, Oreste Ferrara e Guglielmo Petriccione, che, nel 1897, combatterono per la libertà del popolo cubano, lottando contro l’esercito coloniale spagnolo.
Il primo, Oreste, osserva Martone, è diventato poi un uomo di potere, ed è stato, tra i più importanti nella storia di Cuba, forse al secondo posto subito dopo Cristoforo Colombo. Ancora, i tuneri sono molto ospitali, come noi, ma non hanno bisogno di programmare o annunciare le loro visite: infatti, fa notare l’autore, le case dei parenti sono sempre aperte; il loro sport nazionale, però, è la ‘pelota’, il loro baseball, e non il calcio, come da noi.
Più si va avanti nella lettura e più la polvere di Las Tunas (così cara a Martone da dedicarle il titolo del libro), sembra di sentirla tra le dita, nel momento in cui si volta pagina, e si immagina il Natale in casa Labrada (quella che ormai è diventata la sua famiglia tunera), e si sentono i lamenti dei maiali (puercos), che il rito vuole vengano sacrificati per l’occasione; si sente quasi lo scorrere dell’acqua, gettata dalle finestre il 31 dicembre, che sostituisce i nostri fuochi d’artificio e lava via l’anno vecchio. Poi ci appaiono, quasi, i visi delle chicas, le ragazze, che, a quindici anni, tra cerimonie e festeggiamenti, diventano ‘grandi’ , ma poi anche di quelle, le jineteras, che purtroppo, è sottolineato con grande amarezza, ‘si vendono’ a turisti senza scrupoli in cambio anche solo di una serata ‘mondana’ (il titolo del capitolo, “Una brutta storia”, in cui Martone si sofferma su questo tema, è già molto eloquente). E, ancora, ci sembra davvero di incontrare loro, i bambini di Las Tunas, alcuni dei quali somigliano ai nostri scugnizzi per la loro espansività ed allegria, ma che sono ancora ignari e liberi dalla schiavitù dei videogiochi e delle chat, e si accontentano veramente di poco. Non si risparmia, l’autore, anche quando, andando indietro nel suo tempo partenopeo, ripercorre la sua ‘sudata’ carriera, che gli dà lo spunto per analizzare la stampa tunera, la ‘prensa’. O quando, alla bellezza delle spiagge caraibiche, contrappone affettuosamente lo stabilimento balneare di Ischia, il “Dai Tu”, dove, ancora oggi, ritrova la magia degli anni passati. Né quando condivide con il lettore i suoi ricordi e le emozioni più intime, tornando bambino e rievocando i pomeriggi trascorsi a via San Mandato, dai suoi adorati nonni, Angelo e Titina: gli sembra, così, di assaporare ancora quei momenti indimenticabili. Poi ricorda il nonno tunero di Nory, la sua amata moglie: quest’ultimo fumava, anzi “masticava il sigaro… “ scrive, con estrema dolcezza. “ L’ho visto solo una volta. Entrai nella sua vecchia casa, dove il pavimento era senza mattonelle ma solo terra e polvere, il tetto in lamiera e le pareti fatiscenti”.
In questo bellissimo libro, vero ma delicato, che accarezza l’anima, è evidente che l’autore, oltre ad una donna tunera, ha sposato totalmente anche la ricchezza culturale della sua terra d’origine, che entrambi trasmettono anche ai propri figli. Nel libro, non c’è dubbio, si sente battere il cuore di Martone, il suo cuore… metà napoletano, metà tunero.