Raffaello a Capodimonte: l’officina dell’artista

L'esposizione rientra tra le celebrazioni per i 500 anni dalla morte del pittore

Si è aperta al Museo e Real Bosco di Capodimonte la mostra Raffaello a Capodimonte: l’officina dell’artista a cura di Angela Cerasuolo e Andrea Zezza. L’esposizione rientra tra le celebrazioni per i 500 anni dalla morte dell’artista e si propone di valorizzare il patrimonio raffaellesco del Museo, molto più ricco e vario di quanto si sia soliti pensare. Il percorso di visita offre al pubblico le novità emerse dalla campagna di indagini diagnostiche condotte nel Museo, grazie a importanti collaborazione istituzionali – alla base di questa mostra – che permetteranno un approccio originale sia alle opere d’arte, sia al lavoro della bottega dell’artista e a quelle dei suoi seguaci, mettendo in luce il complesso lavoro che sta dietro la creazione di originali, multipli, copie, derivazioni.

Raffaello

Il Museo e Real Bosco di Capodimonte, infatti, conserva alcune opere autografe di grande rilevanza, che permettono di esemplificare i momenti principali della carriera dell’artista: L’Eterno e la Vergine, due frammenti della Pala di San Nicola da Tolentino (1500-1501) prima opera nota del diciassettenne Raffaello, dipinta per la chiesa di Sant’Agostino di Città di Castello, distrutta alla fine del Settecento, il Ritratto di Alessandro Farnese (1511 circa) il giovane cardinale che tanti anni dopo diventerà il potente papa Paolo III, il Mosé e il roveto ardente (1514) cartone preparatorio eseguito per l’affresco della volta della Stanza di Eliodoro in Vaticano, la Madonna del Divino Amore (1516-18) dipinto tra i più ammirati dell’artista nel corso del Cinquecento, poi caduto nell’oblìo e sottratto solo recentemente, anche grazie alle indagini scientifiche e al restauro, alla sfortuna critica in cui era caduto nel Novecento.

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Ma Capodimonte conserva anche un’opera fondamentale di Giulio Romano, il principale allievo di Raffaello, la Madonna della gatta (1518-1520 ca.?), eseguita seguendo un modello del maestro, e di cui le indagini diagnostiche aiutano a comprendere meglio tanto la complessa genesi esecutiva, quanto le cause dei problemi che ne hanno resa problematica la conservazione. Una serie di copie, derivazioni, multipli, alcune delle quali forse elaborate nella bottega stessa dell’artista (Madonna del Passeggio, Madonna del Velo), altre per mano di artisti di prima grandezza per committenti importanti – è il caso della famosa copia del Ritratto di Leone X di Andrea del Sarto – dove la nozione di ‘copia’ costeggia quella di ‘falso d’autore’, e che secondo Vasari avrebbe ingannato lo stesso Giulio Romano – o forse per esercitazione, come il San Giuseppe dalla Madonna del velo realizzato da Daniele da Volterra. Queste, assieme ad altre realizzate da più meccanici copisti (Madonna Bridgewater) permettono di esplorare ad ampio raggio questo tipo di produzione, che costituiva larga parte dell’opera delle botteghe del Cinque e del Seicento e che oggi forma una parte enorme, anche se spesso trascurata, del nostro patrimonio artistico.

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Le indagini diagnostiche

Dal 2018 il Museo e Real Bosco di Capodimonte ha avviato una importante campagna di indagini diagnostiche sui dipinti delle sue collezioni. Le indagini sui dipinti di Raffaello e del suo ambito sono parte di un programma di collaborazione ampio che include il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università della Campania Vanvitelli e il LAMS (Laboratoire d’archéologue moléculaire et structurale) di Parigi e che ha visto recentemente la partecipazione scientifica dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC) del CNR e i Laboratori Nazionali del Sud (LNS) dell’INFN di Catania ed l’Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche del CNR (SCITEC) di Perugia.

Le misure MA-XRF sono state svolte nel museo dal laboratorio XRayLab dell’ISPC-CNR impiegando il sistema a scansione LANDIS-X progettato e sviluppato dal laboratorio.

La realizzazione delle indagini è stato un momento impegnativo ed emozionante dell’approccio alle opere che ha coinvolto un team multidisciplinare con varie professionalità. Il confronto ha aiutato da una parte storici e restauratori ad accedere alla complessa lettura dei dati scientifici, dall’altra ha portato i componenti del team scientifico ad affinare strumenti e metodi in funzione dei problemi conservativi e dei quesiti posti dalle opere esaminate.

I risultati di queste indagini sono la base scientifica di questa mostra e sono illustrati con video esplicativi su monitor presenti in sala. Inoltre, scaricando liberamente l’app Capodimonte su App store e Google play sarà possibile rivederli anche a casa e rivivere l’emozione della visita.

Le indagini diagnostiche saranno discusse anche nel corso del convegno internazionale Raffaello 1520-2020, rinviato di un anno a causa della pandemia, in programma da giovedì 1° luglio 1-2-3 luglio a sabato 4 luglio al Museo e Real Bosco di Capodimonte e all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”.

Il percorso espositivo

Una scuola eccezionale: maestri e fratelli maggiori – sala 5, primo piano

Raffaello nacque nel 1483 a Urbino, città straordinariamente vivace. Nello splendido Palazzo Ducale, che dobbiamo immaginare frequentato dal pittore bambino, lavoravano artisti fiorentini, senesi, fiamminghi. Qui Raffaello imparò presto ad avere uno sguardo aperto su ciò che vedeva intorno a lui.

La città di Urbino è rappresentata, nella prima sala della mostra, dal Ritratto di fra Luca Pacioli con un allievo attribuito a Jacopo de’ Barbari, pittore e incisore veneziano. Pacioli era francescano, matematico, allievo di Piero della Francesca e amico di Leonardo, qui è ritratto mentre illustra gli Elementi di Euclide. Sullo scrittoio di Pacioli si vedono gli strumenti del matematico. A destra, sopra la Summa de arithmetica di Pacioli, c’è un dodecaedro, uno dei cinque solidi regolari simboli degli elementi fondanti dell’Universo secondo Platone. I solidi platonici erano illustrati nel trattato di Piero della Francesca De quinque corporibus regularibus allora conservato nella biblioteca dei duchi d’Urbino. A quest’opera si ispirerà Pacioli nel trattato sulla sezione aurea, la Divina proportiione, che sarà illustrato da Leonardo. In alto è sospeso un solido di cristallo, un rombicubottaedro, riempito per metà di acqua, in cui si riflette tre volte un palazzo, forse il Palazzo Ducale di Urbino. Jacopo de’ Barbari dal 1500 si trasferirà in Germania. La sua lettera a Federico di Sassonia esalta il fondamento matematico della pittura, in profonda sintonia con il pensiero di Pacioli. Il quadro rappresenta bene la raffinata cultura di Urbino e di quella corte, dove Raffaello fu educato allo studio delle proporzioni armoniche e alla consapevolezza della valenza intellettuale del lavoro artistico.

Seguono tre dipinti che esemplificano l’opera degli artisti che ispirarono il pittore agli inizi della sua carriera.
La Natività di Luca Signorelli, allievo di Piero della Francesca poi aiuto del Perugino, era attivissimo tra Umbria e Toscana e lavorò a lungo a Città di Castello, città fortemente legata a Urbino. Luca non fu in senso stretto un maestro per Raffaello, ma disegni e opere giovanili mostrano l’ammirazione che il giovane provò per il suo stile, caratterizzato da figure fortemente plastiche e monumentali. La Madonna col Bambino di Perugino, maestro di Raffaello secondo Vasari, che adotta una peculiare «dolcezza nei colori unita», qui è rappresentata in un arioso paesaggio nel quale si vedono arrivare i Re Magi. Il disegno utilizzato è alla base anche di altre opere del Perugino, la cui produzione matura è caratterizzata da una gestione del lavoro ‘preindustriale’, ampiamente affidata ad aiuti.

Nell’Assunta di Pinturicchio la Vergine è raffigurata in una mandorla circondata da angeli con gli apostoli in basso, frequente nel tardo ‘400. Pinturicchio qui dà il meglio di sé nelle teste dei personaggi descritti con raffinatissima precisione, costruiti su tipi perugineschi, ma con un diverso senso decorativo tratto dall’antico. Raffaello dialogò fittamente con lui all’epoca della pala di Città di Castello.

Raffaello a Capodimonte: dall’inizio alla piena maturità – sala 6, primo piano

Raffaello ebbe sempre una straordinaria capacità di accogliere ogni stimolo dagli artisti con cui entrava in contatto, assimilandone i caratteri di stile e rielaborandoli per restituirli più vitali. La stessa abilità dimostrò nelle pratiche esecutive delle sue opere, dove dispiegò ogni mezzo che potesse rispondere alla sua ricerca.

Il nucleo di opere raffaellesche del Museo di Capodimonte, visibile nella seconda sala di mostra, può dare un’idea della straordinaria versatilità dell’artista, del suo continuo sperimentare e del lungo cammino percorso nella sua breve e folgorante carriera che lo portò, nell’arco di vent’anni, ad aprire strade nuove in ognuno dei generi artistici che praticò, come si potrà osservare nei frammenti Eterno Padre e Vergine della perduta pala d’altare Incoronazione del Beato Nicola da Tolentino, nel Ritratto del cardinale Alessandro Farnese, nel Mosé davanti al roveto ardente cartone preparatorio eseguito per l’affresco della volta della Stanza di Eliodoro in Vaticano e nella Madonna del Divino Amore dipinto tra i più ammirati dell’artista nel corso del Cinquecento presentato in sala accanto al disegno preparatorio conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Di assoluto interesse per i visitatori e gli studiosi la ricostruzione in sala della pala d’altare perduta qui proposta, nella sua integrità, sulla base dei disegni preparatori di Raffaello, su una copia parziale realizzata dopo la vendita e da osservazioni su elementi figurativi e materiali desumibili dai frammenti, come la dimensioni delle assi del supporto, le proporzioni delle figure, la costuzione prospettica dello spazio. L’Incoronazione di San Nicola da Tolentino, infatti, è la prima opera realizzata da Raffaello insieme a Evangelista da Pian di Meleto, già collaboratore del padre, per Città di Castello. Nei documenti Raffaello, diciassettenne, viene già definito “magister”. Nel 1789 la pala, danneggiata da un terremoto, fu venduta a papa Pio VI e ridotta in piccoli quadri. I due frammenti conservati a Capodimonte – Eterno Padre e Vergine – furono acquisiti a Roma nel 1799 per le collezioni borboniche, senza più memoria della loro provenienza, ricostruita solo nel 1912 con l’identificazione di un Angelo conservato a Brescia e dei frammenti napoletani, a cui si è poi aggiunto un Angelo acquistato dal Louvre nel 1981.

E che dire della Madonna del Divino Amore? Oggi è ritenuta un capolavoro di Raffaello, dopo il restauro e le indagini che hanno rivelato novità tra le più spettacolari negli studi degli ultimi decenni. Dal Cinquecento all’Ottocento era stato considerato uno dei dipinti più preziosi della collezione Farnese, ammiratissimo e continuamente copiato. Poi però la critica lo aveva declassato, attribuendolo alla bottega; su questa decisione molto aveva influito la convinzione che il grande disegno conservato a Capodimonte fosse un cartone preparatorio, utilizzato per trasferire i contorni

sulla tavola. Ma le indagini hanno chiarito che si tratta di una copia, poiché riproduce ogni dettaglio del dipinto finito. La riflettografia ha invece rivelato sulla tavola, al di sotto della pellicola pittorica, un disegno preparatorio con cui Raffaello ha apportato importanti modifiche alla composizione nel corso dell’esecuzione pittorica con un tratto straordinariamente libero e creativo.

Una straordinaria fortuna: derivazioni, variazioni, copie, repliche – sala 7, primo piano

Ancor prima della morte del loro autore, le composizioni di Raffaello venivano copiate e replicate. Ciò avveniva innanzitutto all’interno della sua bottega che egli aveva consapevolmente trasformato in una squadra in grado di promuovere e diffondere le sue invenzioni.
Per questo il concetto di ‘copia’ in Raffaello è ricco di significati diversi, dalla replica alla contraffazione. Nella prima eccellevano i suoi stessi allievi, autorizzati a possedere ‘il marchio di fabbrica’, nella seconda si sfidavano seguaci e artisti anche di massimo livello. La duplicazione delle sue opere sarebbe proseguita nei secoli per la rapida elevazione del ‘divin pittore’ al rango dei modelli dell’antichità.

Nell’ultima sala della mostra sono riunite le opere significative di quella straordinaria fortuna che le collezioni del Museo e Real Bosco di Capodimonte possono documentare nella loro varietà, a cominciare dalla Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Giovannino, detta Madonna della gatta di Giulio Romano, principale allievo di Raffaello.

L’opera, un olio su tavola del 1520 circa, è citata da Vasari una volta come di Raffaello un’altra come di Giulio Romano. Come opera di Raffaello sembra fosse stata acquistata dai Gonzaga, ma da almeno due secoli è considerata il capolavoro di Giulio Romano.
Le indagini giustificano queste oscillazioni, mostrando il complesso iter compositivo che ha portato al suo aspetto attuale. Radiografie, riflettografie e MA-XRF rivelano una stesura estremamente stratificata, dove i volti delle figure principali, già dipinti negli strati inferiori in modo naturale e armonioso, appaiono trasformati nella stesura finale in modo più incisivo e caricato, tipico di Giulio Romano. Si tratta probabilmente di un’opera portata avanti da Raffaello prima di morire, lasciata incompiuta e poi terminata dal suo erede secondo il proprio gusto. La inusuale stratificazione è alla base anche della precaria conservazione del dipinto, in alcune parti significative gravemente sfigurato da antiche cadute di colore e da malaccorti restauri. In sala il dipinto è esposto in relazione a un disegno e un’incisione sullo stesso soggetto, conservati nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Nell’ultima sala del percorso espositivo ci sono altre opere, tutte ritenute copie da composizioni di Raffaello ben note, ma molto diverse tra loro: la Madonna del Passeggio, la Madonna di Loreto (o del velo) e la Madonna “Bridgewater”. Le indagini e il restauro della Madonna del Passeggio hanno evidenziato un’opera dipinta in modo accurato e diligente con materiali e metodi non diversi da quelli usati nella bottega di Raffaello. Le indagini hanno rivelato poi punti di contatto con il dipinto ritenuto ‘originale’ oggi a Edimburgo, soprattutto con il disegno sottostante reso visibile dalla riflettografia, mentre tra i due quadri finiti ci sono analogie e varianti significative. Ciò porta a pensare che si tratti di una replica, di un secondo esemplare portato avanti da un collaboratore in modo parallelo all’‘originale’. Le altre due opere esposte in mostra, invece, mostrano chiaramente nel disegno sottostante un procedimento meccanico di trasposizione, più libero in un caso (Loreto o del velo), più pedissequo nell’altro (“Bridgewater”).

In mostra c’è anche un’opera di Daniele da Volterra, olio su carta incollata su tela, del 1545-1550 circa, raffigurante San Giuseppe, copia parziale della Madonna del velo di Raffaello. Conclude il percorso espositivo di questa sala e della mostra il Ritratto di papa Leone X di Andrea del Sarto (da Raffaello). Questo dipinto ha lo strano destino di essere tra i più celebri del museo pur essendo una copia. Ciò avviene non solo per la sua qualità e per l’importanza del copista, che fu il migliore

pittore fiorentino della sua generazione, ma anche per il lungo brano che gli dedicò Vasari, rendendolo un caso esemplare della difficoltà di distinguere gli originali dalle copie, se fatte da un pittore eccellente. La copia sarebbe stata eseguita per ingannare il duca di Mantova, che aveva richiesto in dono l’originale di Raffaello, e il risultato sarebbe stato tanto perfetto da ingannare anche il suo pittore di corte Giulio Romano, che pure da giovane aveva partecipato all’esecuzione del prototipo. Giulio una volta scoperto l’inganno non avrebbe cambiato idea, concludendo: «Io non lo stimo meno […] anzi molto più, perché è cosa fuor di natura che un uomo eccellente imiti sì bene la maniera d’un altro e la faccia così simile».