Che anno sarà, questo incipiente 2020, per il settore del gioco pubblico? Finalmente l’anno del rilancio, della ripresa, della risalita alla china? In attesa di novità in merito, dopo quelle negative rappresentate, su tutte dal Decreto Dignità, dal prossimo febbraio il settore incasserà il terzo, e più esoso, aumento del PREU sugli apparecchi da intrattenimento. Ma non solo: anche la riduzione del payout al 65%, dal 68% dello scorso anno. Volontà della Manovra di Bilancio, che è andata a comprimere ancor di più un settore già di per sé piegato. Un quadro variegato e frastagliato che porta la filiera ad un unico, grande grido: urge, stavolta davvero, un riordino generale del sistema gioco. Premura di uno Stato che, in realtà, da soggetto attivo, pare non curarsene affatto.
“Quello italiano è un sistema pieno di anomalie, ed ora vittima anche della celebre ‘Questione Territoriale’, ove si intende tutta quella sfilza di normative che, da Nord a Sud, regolamentano il mercato del gioco con sostanziali differenze da regione a regione. Un fatto mai visto che va a minare dalle fondamenta la stabilità del settore. Dalle discussioni sulla Manovra di Bilancio è emerso con tutta chiarezza che tagliare è il verbo scelto anche da questo Esecutivo: cambiano gli interpreti, in parte, ma non la sostanza”, commentano ai nostri microfoni gli analisti di Gaming Insider.
Segnali di allarme che il governo, anche attuale, ignora: senza scendere in campo, senza cercare strategie, senza metterci la faccia. La sensazione è che si voglia continuare ad ignorare. Altrimenti che senso avrebbe avuto l’anticipo delle gare per il rinnovo delle concessioni sugli apparecchi? Peraltro, senza la possibilità di procedere, con l’attuale normativa, in vigore dallo scorso primo gennaio, e voluta dallo stesso governo. Basterebbe veramente il minimo, anziché accanirsi contro il settore. E cioè ammettere le proprie colpe, individuare il problema e trovare soluzioni per risolverlo. Tramite un Riordino, superando tutto il quadro normativo vigente regione per regione e uniformando così il gioco a livello nazione, come si era deciso post Conferenza Stato-Regioni nel 2017. Anche in quel caso promesse mai più mantenute.
Intanto gli anni passano e il 2020 può essere considerato quello del non-ritorno: il settore stavolta o rinasce oppure scompare. Ma se per le modalità della scomparsa sussistono pochi dubbi, molti di più invece riguardano l’eventuale rinascita: come farlo? Rimettendo, per esempio, il settore al centro di un progetto univoco, tralasciando frizioni, antipatie e scontri. Aprire un dialogo con tutti i fronti coinvolti e far sì che il governo si impegni per la tutela della salute e dell’ordine pubblico, accontentando tutti, comprese le aziende che, libere di operare, possano sostenere il settore. Il tutto con gli obiettivi etici, morali ed economici del caso. Eccola, la vera impresa. Far andare tutti questi tasselli al loro posto. Ma prima o poi lo Stato, con le sue azioni, i torti e le ragioni, se ci sono, dovrà comunque fare i conti: o si precipita o, toccato il fondo, si risale. Per l’ultima volta.