di Marco Martone*
“Italia Si, Italia No, Italia bum!”. La ricordiamo tutti la gradevole canzoncina di Elio e le Storie tese, che qualche anno fa diventò il beffardo inno nazionale, partito dal Festival di Sanremo, preso a modello per descrivere un Paese travolto dalle polemiche, dagli scandali e dalla cattiva politica. Quel ritornello che piacque tanto agli italiani ma che scatenò anche musi lunghi e qualche critica, torna di moda in questi giorni che precedono una delle tornate elettorali più incerte, confuse e controverse dell’ultimo ventennio. L’Italia vive il rush finale verso una corsa alle urne che spaventa, prima di tutto per la questione Covid-19, per la necessità di un distanziamento che difficilmente potrà essere rispettato, la paura del contagio, il rischio di lunghe file e la mancanza di adeguata sicurezza.
Poi c’è un’altra paura, un po’ “Fantozziana” se vogliamo. Quella di fare la scelta sbagliata, senza neanche avere la convinzione di averla fatta.
Tra qualche giorno saremo chiamati a votare, in molti casi, per il rinnovo dei Consigli Comunali, l’elezione dei presidenti di Regione e soprattutto, per il Referendum costituzionale sul taglio del parlamentari. E se nei primi due casi le indicazioni politiche e di partito sono, come sempre, chiare e delineate. Nel terzo ci troviamo di fronte ad un Paese diviso a metà e con tante idee “trasversali” all’interno delle stesse correnti politiche. Leader che danno indicazioni di voto e affiliati che vanno per la strada opposta.
Il quesito è semplice da comprendere. Domenica e lunedì saremo chiamati a scegliere di votare o meno la riduzione di un terzo dei nostri rappresentanti in Parlamento. Nel caso di vittoria del Si, l’Italia passerebbe dagli attuali 945 parlamentari, 630 deputati e 315 senatori (più i 5 a vita), ad un totale di 600 rappresentanti, (400 al Parlamento, 200 al Senato). Ed ecco allora che scatta il domandone. Quali sono i pro e i contro delle due scelte? Il panorama di consigli, avvertimenti, ipotesi e previsioni è ampio e non sempre “incondizionato”. Qui ci limitiamo ad analizzare soltanto alcuni degli scenari che potrebbero essere conseguenti alla vittoria del Si oppure a quella del No. Per i sostenitori della prima ipotesi l’Italia si troverebbe di fronte ad un sistema finalmente più agile e snello, efficiente dal punto di vista dell’operatività e anche più economico per le tasche degli italiani. Ma è proprio vero che sarà così? Forse no, visto che l’efficienza di un Parlamento dovrebbe (e qui il condizionale è d’obbligo) essere legato non tanto al numero di persone elette, quanto alla loro capacità politica, la competenza, la preparazione, la cultura e soprattutto alla loro onestà. Sono questi i requisiti per un buon governo, più che il numero dei giocatori in campo. Secondo logica, se gli elementi in gioco sono validi sarebbe bene averne di più e non di meno. Meglio ancora se sono capaci e incorruttibili.
Per i sostenitori del No, del resto, la modifica della Costituzione porterebbe in questo caso ad un rischio per la tenuta stessa della Democrazia. Visto che meno rappresentanti al potere penalizzerebbero ampie aree del territorio italiano, che non avrebbero punti di riferimento diretti all’interno dei ponti di comando del Paese. Anche qui ci sentiamo di obiettare che la questione è più ideologica che politica. Forse l’attitudine a non avere fiducia in chi ci governa, ci fa sfuggire di mente un concetto che dovrebbe essere invece alla base della buona politica. Chi va in Parlamento, infatti, rappresenta tutti gli italiani e non solo quelli che lo hanno votato. Non ci sarebbe ragione di temere che un rappresentante della Val d’Aosta non si batta anche per i diritti di un siciliano o quello della Lombardia per le esigenze di un calabrese, ad esempio. Forse il timore nasce dal fatto che siamo in Italia? Del resto basta dare uno sguardo ad altre realtà europee, per capire come il numero di rappresentanti, in percentuale ai cittadini, non sia sempre determinante per la creazione di un sistema efficiente e giusto. Dobbiamo forse pensare che i politici d’oltralpe siano semplicemente più capaci dei nostri? L’impressione dunque è che, anche in questo caso, la propaganda abbia preso il sopravvento sulla verità dei fatti. Un po’ come le piazze dei comizi, piene o semivuote, a secondo del modo in cui si scatta una foto. C’è poi l’ultima questione da analizzare. Sulla quale sono tutti d’accordo. Quella del risparmio per gli italiani. Il mantra di questi giorni è uno solo. La riduzione dei parlamentari consentirà di risparmiare “meno di un caffè al giorno per ognuno di noi”. Il caffè, questa bevanda unica e gustosa, che tanti politici hanno utilizzato, in maniera bipartisan, per incontrare elettori e cittadini nei bar delle piazze italiane. Slogan identici e comportamenti scopiazzati, per una politica senza picchi di qualità e senza uomini di spessore. E pensare che basterebbe ridurre stipendi e commissioni per un risparmio vero nelle tasche degli italiani. Una soluzione semplice e quindi troppo difficile da adottare. E torna in mente il vecchio ritornello, “Italia si, Italia No… la terra dei Cachi”.
*Pubblicato sul quotidiano Il golfo