Pubblicati su Annals of Internal Medicine, tra le più importanti riviste scientifiche mondiali nell’ambito della Medicina Interna e delle sue sotto-specializzazioni, inclusa la Cardiologia, i risultati di comparazione della prognosi dei pazienti con stenosi aortica severa trattati mediante impianto percutaneo di valvola aortica (TAVI) o chirurgia (SAVR). Realizzato dai ricercatori dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, lo studio è stato condotto da Giuseppe Gargiulo, dottorando di ricerca presso l’Università federiciana con la supervisione di Giovanni Esposito, responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Angiologia e di Bruno Trimarco, direttore del Dipartimento di Cardiologia Cardiochirurgia ed Emergenze Cardiovascolari, con la collaborazione dell’Università di Catania e di Catanzaro.
La stenosi aortica severa è la più frequente patologia delle valvole cardiache e colpisce principalmente soggetti anziani portando alla morte del paziente entro 2-5 anni dall’insorgenza dei sintomi. Non esistono terapie farmacologiche in grado di migliorare la sopravvivenza di questi pazienti e l’unica terapia efficace è quella di sostituire la valvola malfunzionante.
“Il progresso della tecnologia e della ricerca scientifica ha permesso di ottenere grandi risultati negli ultimi 10-15 anni – sottolinea Giuseppe Gargiulo – il nostro studio nasce dal bisogno di aggiornare le attuali conoscenze per offrire ai nostri pazienti la migliore terapia.”
La ricerca ha dimostrato che la TAVI, una terapia alternativa minimamente invasiva che prevede l’impianto di una nuova valvola attraverso un piccolo accesso vascolare o toracico, ha oggi raggiunto risultati simili alla chirurgia in termini di mortalità dopo l’intervento e addirittura superiori quando la procedura è eseguita per via trans-femorale piuttosto che trans-toracica.
Per oltre 30 anni e fino al 2002, l’unica opzione era un intervento di tipo chirurgico attraverso un intervento invasivo di apertura del torace. Questi pazienti sono anziani e spesso presentano numerose altre malattie che li rendono inoperabili o ad altissimo rischio chirurgico. “Grazie alla nostra ricerca, che include l’analisi di oltre 16 mila pazienti, sarà possibile aggiornare le attuali linee guida internazionali e considerare la TAVI come una terapia efficace e sicura anche se è necessario continuare a migliorarne i risultati perché abbiamo osservato un tasso di complicanze vascolari e di impianto di pacemaker cardiaco superiore alla chirurgia, seppure la TAVI riduceva altre importanti complicanze post-operatorie come l’infarto miocardico, aritmie cardiache, sanguinamenti e complicanze renali”, precisa Giuseppe Gargiulo.
Lo studio dimostra anche che l’intervento di TAVI può essere eseguito nei pazienti con rischio pre-operatorio non alto (rischio intermedio) con una mortalità simile alla chirurgia sia dopo l’intervento che durante il follow-up. “Questo aspetto della nostra ricerca è particolarmente rilevante perché innovativo ed in linea con i progetti di ricerca clinica disegnati per il futuro che mirano ad estendere la TAVI a tutti i pazienti, indipendentemente dal rischio pre-operatorio”, sottolinea Giovanni Esposito.
La ricerca segna, quindi, una tappa fondamentale anche a livello internazionale.
“Siamo felici che una ricerca così importante sia stata realizzata dal nostro gruppo ed in particolare da un giovane ricercatore della nostra Università e che permetta di offrire ai malati di stenosi aortica severa nuove prospettive terapeutiche e di aprire nuovi orizzonti per le future linee di ricerca in questo ambito clinico”, conclude Bruno Trimarco.