(Ario Rossi) – Si è (ri)fatta la storia. Team USA ha stravinto la partita, rimettendosi in marcia e consolidando il primo posto del girone nordamericano delle qualificazioni ai Mondiali 2019 in Cina. Gli statunitensi avevano perso qualche giorno fa dal Messico 78-70 e necessitavano di una vittoria per riprendersi: la vittoria è arrivata con un sonoro 93-62 (il two-way player dei Bucks Xavier Munford miglior realizzatore con 16 punti) a L’Avana.
Ebbene sì, gli statunitensi sono tornati a giocare una partita ufficiale a Cuba, la prima dal torneo panamericano del lontano 1991. 27 anni. In quella squadra Team USA aveva tutti collegiali, tra i quali spiccavano Grant Hill e quel Christian Laettner che l’anno successivo sarà inserito tra i 12 del Dream Team olimpico di Barcellona.
Con il successo di ieri, i confronti tra le due nazionali parlano di un totale di 1 vittoria cubana – 73-69 ai Giochi Panamericani del 1971 – a fronte di 29 sconfitte.
Ma la partita di ieri era fondamentale per l’apertura ormai definitiva di Cuba verso il mondo statunitense e soprattutto viceversa, situazione che si è sbloccata a fine 2014, prima con la dichiarazione di Obama che era desideroso di togliere l’embargo totale contro Cuba, e poi con la conseguente liberazione dei rispettivi prigionieri di una e dell’altra nazione. L’elezione di Trump aveva rinnovato l’embargo fino a nuove elezioni democratiche nell’isola caraibica che sono giunte lo scorso 11 marzo: Canel è il nuovo presidente, primo non appartenente alla famiglia Castro e, 57enne, primo presidente cubano ad essere nato dopo la rivoluzione castrista.
Da sempre lo sport è lo specchio del clima geopolitico in cui si inserisce, e la strada riaperta ieri da Cuba e Stati Uniti lascia ben sperare per il futuro. Forse per i cubani non per un prossimo ritorno nel basket che conta, ma intanto ciò che a loro (ma anche a noi spettatori) più interessa è la libertà e la consapevolezza di essere visti solo come avversari sportivi e non come “figli di un Dio diverso”.