Sabato sera, nel corso della trasmissione “Che tempo che fa fuori”, una bella trasmissione di Rai Tre condotta con brio, eleganza e la giusta dose di ironia dal bravo Fabio Fazio, il giornalista e scrittore Massimo Gramellini ha letto la sua lettera, cosa che fa ogni settimana, rivolgendosi questa volta ai quattro presidi baresi, rei di non aver accettato nelle rispettive scuole, il figlio di un boss mafioso, attualmente in carcere. Ognuno dei presidi ha addotto una motivazione più o meno attendibile, sovraffollamento, ritardo nella richiesta di iscrizione, mancanza di posti, con lo stesso identico risultato, la chiusura delle porte in faccia al ragazzo e alla mamma che lo accompagnava. Gramellini ha criticato il comportamento dei docenti, rivendicando il diritto all’istruzione per il ragazzino e richiamando i presidi stessi al loro ruolo di educatori. Tutto giusto, un messaggio che non fa una piega, se non corresse il rischio però di diventare retorico e, forse, un tantino ipocrita. Perché se è vero che, da un punto di vista astratto, non è giusto rifiutare l’iscrizione alla scuola ad alcuno, è altrettanto vero che il figlio di un boss resta sempre il figlio di un boss, con tutte le conseguenze e i disagi che tale posizione può comportare, per chiunque abbia la ventura di incrociarne i destini. Al di là dei consensi avuti in studio, è fondato il sospetto che nessuno degli spettatori o degli ospiti presenti da Fazio, sabato sera, accetterebbe con serenità l’ipotesi di vedere il figlio di un mafioso, o di un camorrista, sedere allo stesso banco del proprio figliolo, con il rischio magari di vederselo piombare a casa, alla prima festicciola di compleanno. Dietro il rifiuto dei presidi, sbagliato forse dal punto di vista deontologico, ma comprensibile, c’è un calcolo preciso il cui obiettivo è tutelare il resto della platea scolastica. Quanto all’atteggiamento “rivoluzionario” della mamma del ragazzo, che da moglie di boss, ha scelto di rivolgersi ai carabinieri per vedersi riconosciuti i propri diritti, andrebbe ricordato, alla signora e allo stesso Gramellini, che le forze dell’ordine e la Legge, esistono a tutto tondo e non solo quando fa comodo. La moglie del boss, prima di andare dai carabinieri a chiedere che il figlio fosse accettato a scuola, avrebbe dovuto andarvi magari per denunciare il marito e quelli come lui, che hanno scelto di fare dell’illegalità e la violenza contro il prossimo, il proprio stile di vita. La mamma di questo ragazzo avrebbe potuto prendere le distanze dall’uomo che sta condizionando la vita del figlio, dopo aver distrutto la sua. Invece l’ha sposato, condividendone evidentemente anche lo stile di vita, tanto da farci un figlio assieme. Non è facile stabilire quale sia la giusta decisione da prendere in questi casi. Accettare o meno il figlio di un criminale nella propria scuola appartiene alla coscienza di ognuno. Quello che non si può accettare è la retorica di chi sale su un pulpito per parlare di questioni che, il più delle volte, appartengono agli altri.
Marco Martone