di Fabio de Paulis
La napoletanità è senz’altro l’elemento più positivo, quello costruttivo, più fantasioso, della società napoletana. Rappresenta ed ha rappresentato anche nei secoli di dominazioni non napoletane, la speranza, la voglia di riscatto, di reazione, soprattutto nei confronti di quelle zone di mezzo dove cadere nella tentazione dei cattivi affari avviene sovente per necessità. L’errore che si tende scientificamente a compiere è quello di mischiare e quindi condannare come un tutto uno, il male per necessità da quello organizzato – camorristico. E’ chiaro come il sole che i poteri malavitosi che attanagliano tutto il mezzogiorno, organizzati in vere e proprie holding di investimento, cercano, con le ingenti risorse di cui dispongono, contatti di vario genere col potere politico imponendo le proprie decisioni sulle politiche pubbliche. Ed è altrettanto chiaro che senza un intervento forte e deciso dello Stato, questo circolo vizioso continuerà ad alimentarsi in eterno, finendo per condannare sommariamente, come già purtroppo avviene, tutta la città ed il mezzogiorno intero.
C’è troppa bellezza intorno: naturale, storica, culturale, musicale, teatrale, letteraria, architettonica volta a dimostrare che grazie alla “napoletanità”, nonostante le infinite e secolari difficoltà, la città ha saputo sempre reagire. Vi è un magma che ribolle nei vari settori della sfera produttiva, di impegno costante ed incessante nel sociale da parte di gruppi di volontariato, della scuola sempre in trincea, della università e della cultura diffusa nel privato che fuoriesce sanificando quanto di brutto per converso viene prodotto. Ed è proprio la napoletanità che anche se non realizza propriamente ricchezza, riesce a donare sempre e comunque speranza. I settori produttivi, la cantieristica, l’alta tecnologia, l’artigianato, i trasporti, il commercio ed il turismo, l’impresa locale, abbisognano oggi più che mai di nuove e diverse politiche per attrarre imprese ed investimenti nazionali ed internazionali disposte a credere alle rinnovabili condizioni politiche e sociali. Credibilità e correttezza sono i sostantivi, i termini su cui la politica deve rinnovarsi ed investire. Napoli va gestita diversamente da Milano, Roma o Torino e non ce ne vogliano i cittadini di queste altre, poiché metropoli abitate da non loro abitanti. In altre parole non servono ordine e leggi di contenuto autoritario e coercitivo cui allinearsi obbedendo ciecamente, ma vanno ricercate nuove e diverse regole del gioco, da adeguare alla realtà, alla tradizione, alla mentalità, tutta partenopea.
I contrasti, i conflitti, le differenti culture, di cui Partenope si nutre e di cui si è sempre nutrita, confrontandosi attraverso lo scambio, la comunicazione, il linguaggio, le abitudini e i costumi con altre identità etniche, grazie al mediterraneo hanno creato quelle forme artistiche tipiche della napoletanità che non possono essere omologate, ma integrate e rese produttive. Urgono quindi nuove competenze e nuova classe dirigente, non già espressione dei partiti politici che hanno occupato posti e poltrone con risorse umane inadeguate; urge la formazione di amministratori pubblici e manager in grado di destinare le risorse non per fini assistenziali come sempre avvenuto, ma per svilupparle e qualificarle verso il turismo o verso l’artigianato di qualità, tanto per fare degli esempi, o verso l’immenso porto, piuttosto che verso il tempo libero, le piazze, i giardini, le strade e i monumenti. Il tutto pervaso da quella identità sociale e da quella storia umana da mostrare e rappresentare che nella propria tradizione, custodisce tesori senza fine.