di Marco Martone
La caccia al colpevole è un’abitudine alla quale i tifosi del Napoli e molta parte dell’informazione, non riesce quasi mai a sottrarsi, quando le cose non vanno per il verso giusto. La sconfitta, inaccettabile per certi versi, patita contro lo Spezia, ha rispolverato l’atteggiamento inquisitore di chi pensa di avere la verità in tasca e la soluzione a portata di mano. Ecco allora che si è cominciato, immediatamente dopo la fine della partita, a parlare di “esonero”, “dimissioni”, “repulisti” ed epurazioni varie. Dito puntato contro Ringhio Gattuso, che ieri a dire il vero non ne ha azzeccata una, poi contro Giuntoli, reo di aver comprato tutti bidoni e mezzi giocatori, infine su De Laurentiis (non poteva mancare) che non spende, non investe e soprattutto “non vuole vincere”. Unici assolti, o quantomeno compresi, i calciatori, che invece sono quelli che vanno in campo, determinano le partite con le loro giocate ma soprattutto con l’atteggiamento che dimostrano durante i 90 minuti di gioco. Ecco allora che decine di tiri sbilenchi, fuori dallo specchio oppure semplicemente appoggiati al portiere avversario, diventano l’alibi per giustificare sconfitte e prestazioni poco esaltanti.
E allora una serena analisi delle cose dovrebbe indurre a capire dove iniziano le responsabilità del tecnico (che ci sono) e dove finiscono le colpe dei calciatori, molti dei quali evidentemente sopravvalutati, che sembrano svogliati, poco presenti, di testa e di gamba, che sbagliano cose elementari e che troppe volte appaiono indecisi su cosa fare nei momenti determinanti della gara. Contro lo Spezia si sono viste cose difficilmente spiegabili e sulle quali la responsabilità dell’allenatore è relativa. Tanto per citarne qualcuna: Lozano che invece di tirare in porta cerca un improbabile assist al compagno piazzato peggio, Llorente che dimentica di essere un bomber di razza e lascia il pallone nel bel mezzo dell’area di rigore, Elmas che guarda la sfera senza batter ciglio, Di Lorenzo che si fa rubare tre metri dall’avversario, mentre la palla rimbalza sul palo. Senza contare i tiri a giro di Insigne (fenomeno in una partita su cinque) e le amnesie difensive di Maksimovic, Manolas, Mario Rui. Tacere sulle colpe di questi strapagati professionisti della pelota non è giusto, così come non lo è scaricare tutto sulle spalle dell’allenatore, che pure di errori ne ha fatti.
Rinunciare alla punta di ruolo, su un campo reso pesante dalla pioggia e snaturare Lozano è un delitto, così come non mettere dentro l’unico giocatore capace di fare cross degni di questo nome (Ghoulam), quando in campo ci sono le due torri. Anche insistere su Fabian, in evidente difficoltà di condizione fisica e mentale, non è comprensibile. Per quanto riguarda la società, nulla da dire. Chi critica oggi è lo stesso che due mesi fa inseriva il Napoli nel novero delle pretendenti allo scudetto. Se la squadra era competitiva ieri, non può non esserlo anche oggi, quindi le colpe stanno da qualche altra parte. Quello che si chiede oggi a De Laurentiis è capire se ci sia sintonia nel gruppo, se i giocatori stanno (tutti) dalla parte di Gattuso e se c’è la voglia di remare dalla stessa parte. Quello è il vero enigma da risolvere. Anche perché l’obiettivo di stagione, il ritorno in Champions, non è ancora tramontato e il tempo per raddrizzare la rotta c’è ancora.