di Mariateresa Di Pastena
Carissimi alunni, (e non solo i miei, da me tanto amati)
è arrivato, anche quest’anno, l’ultimo giorno di scuola, una scuola che, per gli ultimi tre mesi, ha perso l’immagine rassicurante e fisica che tanto la faceva somigliare ad una grande casa accogliente, per diventare solo uno schermo. La cosiddetta ‘didattica a distanza’, nonostante il nome dal significato eloquente e che definirei un po’ un ossimoro, ci ha permesso di restare, comunque, in qualche modo vicini.
Ora, però, anche i saluti si vestono di malinconia: nessun abbraccio, che in genere precede l’ultima uscita dalle classi, tra di voi e con gli insegnanti… Nessuna esultazione, mentre le scale, scese ancora più in fretta del solito, vi avrebbero portato verso le sospirate vacanze, che comunque ci saranno e saranno ancora più meritate. E ancora, esami stravolti, e nessuna festa di fine anno, per chi di voi conclude un ciclo, che vi aspetta sotto un cielo stellato, insieme a compagni e prof, dopo il vostro esame, con pizze variegate in piatti e in mani tanto vicine da accarezzarsi. Nessuno scontro di telefonini impazziti di foto, e di voci che si rincorrono, di risate, di auguri per il futuro, di discorsi rotti dalla commozione, che scavano nei tanti ricordi lasciati tra banchi disordinati e stanchi e tra libri abbandonati per sempre.
In questo quadro dell’Italia ai tempi del coronavirus, quadro dai colori indefinibili, voi, cari bambini, cari ragazzi, spiccate sullo sfondo, eppure mai così in primo piano.
Siete stati ore ed ore dietro tablet, computer o cellulari, per seguire le lezioni on line, che noi abbiamo dovuto ‘inventare’ da un giorno all’altro, avete subìto anche voi qualcosa di imprevedibile e abnorme, una rivoluzione della vostra vita, a partire, appunto, dalla scuola, ma che si è declinata poi in tanti aspetti.
Eppure, pur non avendo gli stessi strumenti di noi adulti per elaborare ed affrontare un fenomeno così drammatico e surreale, voi l’avete fatto comunque. E vi siete adeguati immediatamente, quasi tutti, quelli che, tra voi, hanno potuto farlo e hanno avuto i mezzi. La didattica a distanza ‘classica’, così come è stata concepita, suo malgrado, però, non sempre ha potuto ‘abbracciare’ tutti voi allo stesso modo, e allora l’ha fatto cercando strade alternative, che potessero accarezzare le vostre difficoltà e le diverse abilità,
E immagino che, più o meno, sia stato questo lo scenario quotidiano, nelle famiglie: la sveglia che suonava un po’ più tardi del solito, perché tanto l’aula era in un angolo della casa, nessuno zaino da preparare o gli abiti giusti da scegliere, né scarpe da abbinare, o la tuta da portare dietro. Via il pigiama velocemente, per chi ha avuto le videolezioni, e una sciacquata al viso, tanto poi la doccia si poteva fare dopo, con calma. La colazione fatta in fretta o rimandata all’intervallo tra una lezione e l’altra, il fratellino piccolo che piangeva a pochi metri, la mamma che faceva le pulizie, evitando di usare la scopa elettrica, la sorella più grande che faceva lezione anche lei, ma in cucina. Il citofono e il telefono che ogni tanto, con il loro trillo, riportavano ad una realtà domestica. E il prof, o la prof (naturalmente anche lei a volte ‘distratta’ da figli piccoli o grandi, con esigenze e bisogni piccoli o grandi, spesso a loro volta studenti), che cercava di fare domande, o scriveva in chat, nella piattaforma, mentre un vostro compagno si connetteva in ritardo, l’altro non riusciva ad ‘entrare’ o a sentire, l’altro ancora che perdeva la connessione. Qualcuno di voi, diligentemente, chiedeva anche il permesso di andare in bagno.
Eppure sono state svolte, le lezioni! Voi ce l’avete messa tutta. E ce l’avete fatta! E anche noi prof, i dirigenti e tutti coloro che fanno parte del mondo della scuola e dell’Istruzione. La stessa Università ha laureato tanti lodevoli giovani on line.
Meritate, tutti voi studenti, un applauso lunghissimo, come dopo una prima al San Carlo, anzi, come quello che si potrebbe avere dopo la scalata dell’Everest, o dopo la traversata a nuoto di un oceano, o… di una pandemia.
Sì, ecco, è proprio questa, una pandemia mondiale, la montagna che voi avete scalato, l’oceano che voi avete attraversato. Senza essere né scalatori, né nuotatori esperti.
Tutto questo, mentre i balconi di tutti noi diventavano treni o traghetti, su cui viaggiare con la fantasia, e poi si trasformavano in stazioni o porti…
E intanto le vostre mamme, e spesso anche i papà (ad entrambi vanno davvero tantissimi ringraziamenti per avervi seguito con tutto l’amore e la pazienza possibili, e un ringraziamento particolare va ai genitori rappresentanti di classe, che sono stati sempre efficienti e disponibili, nonostante i loro impegni), si trasformavano in vostri assistenti, e poi in chef che vi coccolavano con deliziosi manicaretti, soffocando le loro preoccupazioni per quello che stava accadendo.
E le vostre case sembravano tante succursali di scuole di grado diverso.
Intanto, medici e operatori sanitari combattevano strenuamente per salvare vite… Volontari, forze dell’ordine e politiche erano impegnate per tutti noi, così come quei lavoratori che non hanno mai smesso di lavorare per assicurarci i beni di prima necessità. Molti lavoratori, appunto, hanno continuato a lavorare da casa. Tantissimi, invece, di tantissime categorie, hanno dovuto, loro malgrado, smettere; molti, purtroppo, hanno enormi difficoltà economiche, e ora stanno cercando e cercheranno faticosamente di ricominciare.
Insomma, nei momenti più duri, mentre tutto chiudeva, e noi eravamo sommersi necessariamente da angoscia, restrizioni e lockdown, grazie a voi si apriva, comunque e sempre, la speranza: soprattutto per chi, come me, ha avuto il privilegio di trovarvi ogni mattina dentro uno schermo e di sentire il battito del vostro cuore anche senza sentirlo, di immaginare le vostre voci mentre scrivevate non solo le vostre conoscenze, ma le vostre riflessioni ed emozioni, che avete imparato così bene ad esprimere. Immaginavo ognuno di voi, con le vostre caratteristiche e personalità, seduto ad una scrivania o ad un tavolo, lì nelle vostre case, sotto il cielo della vostra città, ( o paese), nel nostro caso di una Napoli meravigliosa, come e più di sempre ‘città-Mamma’, preoccupata per tutti noi.
Per chi, come me, ha cercato di darvi ogni giorno un sorriso, nascondendo le proprie ansie e paure (e chi di noi non le ha avute almeno una volta, in questo periodo così difficile, guardando la sofferenza di troppi, ascoltando le notizie allarmanti?) e che, prima ancora delle nozioni, ha cercato di continuare a darvi, soprattutto, sogni e speranze, ed è stata ricambiata mille volte, anzi milioni di volte, ecco… voi siete stati preziosi.
Eh, sì, voi, bambini, ragazzi miei, siete stati ‘grandi’ davvero, nonostante la vostra giovane età.
Avete trovato una forza sorprendente, dentro di voi. Avete trovato quella resilienza, sì, proprio la resilienza di cui noi adulti spesso ci riempiamo la bocca perché va di moda e che invece avete inventato voi dal primo giorno dell’emergenza, senza saperlo, senza volerlo. L’avete tirata fuori, come maghi da un cilindro, e poi colorata con i colori dell’arcobaleno e sventolata dai vostri balconi. E ce l’avete insegnata.
Ecco, io tutto quello che voi mi avete insegnato me lo tengo stretto, proprio come si tiene un figlio tra le braccia. E lo farò almeno finché non vi rivedrò, mi auguro, a settembre. Non vedo l’ora!
Siete stati bravissimi! Grazie di cuore a tutti voi!