Daniel Oren ritorna al Teatro di San Carlo per Adriana Lecouvreur, ed il titolo ritorna dopo 13 anni nel cartellone di Napoli. Il Massimo napoletano rende omaggio a Francesco Cilea (1866 – 1950) nel 150° anniversario dalla nascita, riportando in scena, domenica 16 ottobre alle ore 17,00 (con altre 6 repliche fino al 23 ottobre) il titolo più amato del compositore calabrese, su libretto di Arturo Colautti.
La regia è di Lorenzo Mariani, scene e costumi sono rispettivamente di Nicola Rubertelli e Giusi Giustino, nello storico allestimento del 2003. La produzione del Teatro di San Carlo, che si avvale tra l’altro delle luci di Claudio Schmid e della coreografia di Michele Merola, vedrà alternarsi un cast internazionale, con artisti del calibro di Barbara Frittoli (in sostituzione di Anna Pirozzi) e Svetla Vassileva (Adriana Lecouvreur), Marcello Giordani (in sostituzione di Fabio Sartori) e Gustavo Porta (Maurizio), Luciana D’Intino e Marianne Cornetti (La principessa de Bouillon), Carlo Striuli (Il principe de Bouillon), Luca Casalin (L’abate di Chazeuil); e ancora Alessandro Corbelli e Alberto Mastromarino (Michonnet), Paolo Orecchia(Quinault), Stefano Consolini (Poisson), Elena Borin (Mad.lle Jouvenot), Milena Josipovic e Giovanna Lanza (Mad.lle Dangeville).
Sul podio Daniel Oren che, dopo il grande successo di Un’estate da re, manifestazione che lo ha visto dirigere Coro e Orchestra del Lirico di Napoli in Nabucco di Giuseppe Verdi alla Reggia di Caserta, nel luglio scorso, torna a dirigere i complessi sancarliani con cui ha un’intesa di lunga data. Un legame consolidato, quello tra Oren e il San Carlo, Teatro dove il maestro israeliano ha esordito nel 1980 e dove ha regalato esecuzioni memorabili, tra queste ricordiamo, nel 1982 la prima opera diretta al San Carlo, Tosca di Puccini con Raina Kabaivanska, che ha guidato in seguito ne La vedova allegra e nel Falstaff del 1985, in Manon di Massenet nel 1990, Adriana Lecouvreur nel 1992 e nuovamente in Tosca nel 1996. In quest’ultimo allestimento venne scritturato anche Luciano Pavarotti, con cui Oren ha portato in scena Un ballo in maschera di Verdi (1994) e La messa da Requiem nel 1996 (al Palasport di via Argine). E ancora, il Don Carlos del 1984 (con Renato Bruson e Ghena Dimitrova), il Nabucco del 1991, Otelloe La Forza del destino del 1992, Carmen per la regia di Pappi Corsicato (2000), La Bohéme con la regia di Franco Zeffirelli (1996), Lucia di Lammermoor (1993) e Aida (1998).
Rappresentata per la prima volta al Teatro Lirico di Milano nel 1902 Adriana Lecouvreur fu composta da Francesco Cilea (1866 – 1950) su sollecitazione dell’editore Sonzogno. Il titolo arrivò poi a Napoli nel dicembre 1903 e da allora venne ripreso 22 volte, con grandissimi interpreti ad alternarsi nei ruoli principali, Ebe Stignani, Beniamino Gigli, Tito Gobbi, Maria Caniglia, Magda Olivero, Renata Tebaldi, Giulietta Simionato, Ettore Bastianini, Raina Kabaivanska, Montserrat Caballé, Daniela Dessì, Franco Corelli, José Carreras per citarne solo alcuni. Proprio a Daniela Dessì, ultima interprete nel 2003, è dedicata questa produzione.
Il libretto di Arturo Colautti (forte del recente successo di Fedora di Umberto Giordano) si ispira a personaggi realmente esistiti, filtrati attraverso l’omonimo dramma di Scribe e Legouvé. Il personaggio centrale del dramma è Adrienne Lecouvreur, una delle attrici più importanti della Comédie-Française, vissuta tra 1692 e il 1730, grande interprete dei testi di Racine e Corneille (la citazione al monologo di Fedra abbandonata non è un caso), amica e amata anche da Voltaire. La morte avvenne per cause rimaste misteriose, ma Cilea preferì fornire la versione, ben più teatrale, della morte per avvelenamento, avvenuta per mano della sua rivale in amore.
Adriana Lecouvreur, quando morì (il 20 marzo 1730) ebbe la stessa sorte dei colleghi, attori e attrici, che in punto di morte non avessero rinnegato la professione: recitare pregiudicava infatti la sepoltura in terra consacrata. Sebbene Adriana avesse ricevuto un’educazione cattolica, fosse devota e sempre generosa nei confronti di diversi ordini religiosi, non venne risparmiata da questa consuetudine. Ricordiamo l’emblematico caso di Molière, cui sì venne concessa sepoltura il 21 febbraio del 1673 (era morto di tubercolosi il 17 febbraio), ma le esequie ebbero luogo di notte, in assenza di sacerdoti o pubblico. Adriana Lecouvreur venne dunque sepolta in una fossa comune. Voltaire, rimase allibito dall’ingratitudine dei Francesi, che non avevano saputo rendere omaggio a una delle donne più celebri e affascinanti. Scrisse dunque per lei un’elegia, di fatto una tirade contro il mondo insensibile “O dei! Perché il mio paese non è più la patria, né della gloria né dei talenti?”, Parigi, 30 maggio del 1730. La bellezza e la bravura di Adriana divennero leggendarie tanto da affascinare, agli inizi del ‘900 le stesse Sarah Bernhardt (in un film muto del 1913) e Eleonora Duse. A lei il celebre cuoco Auguste Escoffier dedicò una ricetta: le pesche Adrienne.
Dal punto di vista musicale l’opera rappresenta le tendenze del teatro musicale italiano di quel periodo, nel quale gli stilemi di secondo Ottocento si sovrappongono al modello del Verdi maturo.
Tipici della scrittura di Cilea sono i Leitmotive, che caratterizzano le entrate in scena di tutti i personaggi. Sulla mimesi, in alcuni siparietti quasi tragicomici (basti pensare all’abate di Chazeuil), dei modi leziosi settecenteschi, si innestano momenti struggenti e melanconici, propri del decadentismo più languido di inizio Novecento; ed ancora arie eroiche o brani di pura recitazione, pieni di citazioni dotte, tratte dal grande teatro francese di fine ‘600 o dalla mitologia, il tutto in un contesto meta-teatrale e lo spettatore si troverà in un teatro nel teatro, una dimensione che con un crescendo drammaturgico, durerà per tutti quattro gli atti.