Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano alla Reggia di Portici dal 14 dicembre 2022 al 31 dicembre 2023 a cura di Francesco Sirano e Stefania Siano Mille sono gli usi degli alberi, in mancanza dei quali non sarebbe possibile vivere. Con l’albero solchiamo i mari e avviciniamo le terre l’una all’altra, con l’albero costruiamo le case. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XII, 2 Alcune specie di alberi sono oggetto di una continua protezione in quanto dedicate ciascuna ad una sua propria divinità, come la quercia a Giove, l’alloro ad Apollo, l’olivo a Minerva, il mirto a Venere, il pioppo ad Ercole. Inoltre, crediamo che i boschi siano popolati da Silvani, Fauni e varie specie di dee, attribuendo alle selve divinità peculiari, come se fossero scese dal cielo. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XII, 2.
Ercolano non solo è l’unica città del mondo romano che conserva il suo antico fronte a mare e l’elevato delle case sino al secondo piano, ma anche il legno come materiale di costruzione, di arredo e non solo. Lo si deve al particolare tipo di seppellimento, causato dalle ondate di fango vulcanico dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Infatti, la coltre piroclastica di circa 20 metri di spessore ha inglobato anche materiali, utensili, elementi architettonici, arredi in legno che si sono carbonizzati ma non bruciati. La loro conservazione si deve soprattutto al certosino ed appassionato lavoro portato avanti da operai, restauratori, architetti e archeologi, che si sono succeduti nella gestione del sito, e si sono passati il testimone da una generazione all’altra nella complessa ed entusiasmante sfida della conservazione a partire dagli scavi Maiuri e poi nel corso di ben nove decenni. Un elenco di persone e di professionisti impossibile da proporre qui, grazie al cui straordinario impegno è giunto a compimento quello che non si esita a definire un prodigio: riannodare nel mezzo di tanta distruzione, provocata dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., prima il filo della forma e poi quello della vita di oggetti destinati all’oblio. Ercolano conserva quindi un patrimonio di reperti in legno assolutamente unico, che va dai serramenti come porte, finestre, tramezzi, fino agli arredi, ad esempio armadi, casse, tabernacoli, letti e tavolini in legno, frutto di un lavoro artigianale realizzato con grande perizia. L’accurata opera di restauro ha consentito il recupero di molti preziosissimi oggetti che, pur presentandosi, nella maggior parte dei casi, come legno carbonizzato, conservano, tuttavia, la loro forma originale e la raffinatezza delle p. 2 con la collaborazione di decorazioni intagliate. Inoltre, tutti gli oggetti in legno di Ercolano danno uno straordinario riscontro a quanto si conosce dalle fonti scritte, dagli affreschi e dai rilievi antichi e costituiscono una rarissima opportunità di ricostruire le antiche tecniche di falegnameria ed ebanisteria. Il legno e la sua materia sono al centro della mostra Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano, curata dal direttore del Parco Archeologico di Ercolano, Francesco Sirano e dall’archeologa Stefania Siano, e che apre il 14 dicembre nella settecentesca Reggia di Portici, residenza estiva della famiglia reale borbonica e sede del Herculanense Museum, tra i primi musei archeologici al mondo e meta dei viaggiatori del Grand Tour, nell’Ottocento anche residenza di Murat e poi sede della Real Scuola di Agricoltura di Portici. L’esposizione è prodotta dal Parco Archeologico di Ercolano con il consueto affiancamento del Packard Humanities Institute, partner storico con il quale sono state condivise molte delle più recenti scoperte che saranno per la prima volta presentate al pubblico (come il tetto di legno dalla Casa del Rilievo di Telefo e i mobili rivestiti in avorio dalla Villa dei Papiri). La mostra nasce nell’ambito di una straordinaria collaborazione interistituzionale con la Città Metropolitana di Napoli, il Dipartimento di Agraria e del Musa (Centro Museale Reggia di Portici) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, con lo sponsor di HEBANON Fratelli Basile 1830. L’allestimento è affidato alla società ACME04 e con il contributo della Regione Campania – Direzione Generale per le Politiche Culturali ed il Turismo, nell’ambito degli interventi del POC 2014-2020. I visitatori potranno usufruire del biglietto di mostra al costo di 5 euro, ma anche di un biglietto integrato al costo di 15euro, che consentirà di vedere l’esposizione e anche la Reggia di Portici, l’Orto botanico e il Parco Archeologico di Ercolano. Il percorso si articola in alcune delle sale al piano nobile del Palazzo Reale, secondo un registro di indubbia potenza evocativa che consentirà al visitatore non solo di apprezzare il vero e proprio miracolo della conservazione del legno sfuggito alla catastrofe che investì l’area del Vesuvio, ma anche di immergersi nella vita degli antichi e di comprendere, attraverso oltre 120 oggetti, tutti provenienti da Ercolano e mai sinora presentati al pubblico in forma monografica, quanto il legno fosse vitale per ogni attività oltre ad essere un materiale prezioso al punto che sovente gli alberi e i boschi assumevano aspetti di sacralità e valori simbolici.
IL PERCORSO DELLA MOSTRA
Il visitatore, dopo essere stato introdotto al percorso da un’installazione di luci e suoni, suggestivi del calore e della forza distruttiva dell’eruzione, che hanno incredibilmente determinato ad Ercolano la conservazione dei materiali lignei, si trova immerso nei colori e nei profumi della materia, cioè il legno, come se si trovasse nell’officina di un p. 3 con la collaborazione di falegname, dove accumuli di tavolati e tranciati stagionano in attesa di essere utilizzati. Sarà questo il primo approccio con la materia, termine tecnico che i Romani utilizzavano non solo con il significato attuale, ma anche per indicare il legno da taglio, ancora non lavorato: legno come materiale per eccellenza. La sala successiva propone la medesima ambientazione, ma, questa volta, riferendosi al momento della lavorazione del legno e accostando strumenti e oggetti antichi ad una serie di attrezzi e oggetti dell’Ottocento, provenienti dalla collezione di Hebanon, società dei fratelli Basile, che testimoniano la secolare continuità nell’ambito di questa produzione essenziale per tutte le società umane. Gli attrezzi per le varie fasi di lavorazione del legno sono spesso raffigurati nei rilievi che decorano monumenti funerari in vari siti del mondo romano o, più raramente, anche altri tipi di manufatti; talvolta sono citati in testi antichi e, in alcuni casi fortunati, in cui le condizioni di seppellimento lo hanno consentito, come quelli di Pompei ed Ercolano, ne sono state rinvenute testimonianze materiali. In realtà, comparando gli attrezzi antichi con quelli moderni, è evidente quanto poco siano cambiati nel corso dei secoli, essendo strettamente legati alla loro funzione e non richiedendo cambiamenti se non qualche dettaglio migliorativo. È incredibile osservare come ascia, sega, trapano, compasso e squadra, martello, livella e filo a piombo, scalpello, lima e raspa siano rimasti fondamentalmente gli stessi; e poiché gli autori antichi raramente descrivono le tecniche dei falegnami e dei carpentieri, le testimonianze di oggetti in legno provenienti dagli scavi di Ercolano costituiscono una eccezionale opportunità di studiare le antiche tecniche di lavorazione di mobili e oggetti anche minuti, come portamonete e sculture, ma anche di scale, porte, infissi, imbarcazioni, tetti e controsoffitti. La lavorazione era basata principalmente sull’uso di ammorsature e incastri, entrambi attestati ad Ercolano, rispettivamente negli elementi strutturali e nel mobilio. Tra gli incastri, il più utilizzato era quello a tenone e mortasa, composto da un maschio (tenone) e dall’alloggio corrispondente (mortasa), che viene adoperato da migliaia di anni per unire pezzi di legno, soprattutto quando questi formano un angolo di 90 gradi. I chiodi e la colla servivano per il fissaggio delle giunzioni e non va dimenticato che, sebbene i piedi dei mobili in metallo fossero preferiti per la robustezza portante, vi sono ad Ercolano numerose testimonianze di piedi in legno lavorati al tornio. La terza sala è dedicata a dei manufatti particolarmente rappresentativi delle tecniche di lavorazione del legno, appartenenti al controsoffitto in legno del c.d. salone dei marmi della Casa del Rilievo di Telefo, da dove provengono circa 250 frammenti (nella quasi totalità di abete bianco) di un tetto e di un controsoffitto di legno, incredibilmente conservati dall’eruzione. Un manufatto di assoluta unicità per il mondo antico.
Il legno è ancora “vivo” e conserva in più punti tracce di pigmento colorato. Grazie alle ottime condizioni di conservazione è stato possibile ricostruire le tecniche ad incastro e ipotizzare l’aspetto generale del controsoffitto a lacunari, compresa l’antica colorazione. L’analisi delle tracce di pigmenti colorati, ancora conservati in alcuni frammenti, ha consentito di ricostruire la vivace sovra dipintura in azzurro, rosso, verde e bianco. L’elemento centrale del controsoffitto era rivestito con una lamina in foglia d’oro. Grazie al complesso studio della posizione di caduta di ciascun elemento, è stato possibile ipotizzare la loro posizione originaria nella controsoffittatura e proporre un’ipotesi di ricostruzione. Lo schema del controsoffitto, sia per i singoli motivi decorativi, sia per lo schema compositivo, si può inquadrare nella piena età augustea. Proseguendo nel percorso espositivo sarà come trovarsi sul mare. Gli scavi condotti tra gli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso hanno messo in evidenza uno degli aspetti più importanti di Ercolano: il fronte mare della città, che costituisce un unicum nell’archeologia romana, unitamente agli scheletri di chi tentava di scampare l’eruzione via mare e ai resti eccezionali di imbarcazioni e di oggetti legati alla marineria e alla pesca, molti dei quali in legno, sughero, cordame e cuoio, straordinariamente conservati. Una di queste imbarcazioni si troverà al centro della sala, come immersa nell’acqua, assieme a un argano verticale e un dritto di prora. Si tratta di una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca, scoperta negli anni Novanta del secolo scorso nell’area vicina al complesso termale dell’Insula Nordoccidentale della città, dove sono stati rinvenuti numerosi reperti che attestano come, al momento dell’eruzione, le terme fossero utilizzate come luogo di rimessaggio di barche e di deposito di attrezzature legate alle attività marinare. Il corpo dell’imbarcazione, solo in parte conservato, misura in lunghezza 280 cm e in larghezza 118 cm, ma le sue proporzioni lasciano presumere che le dimensioni fossero in origine significativamente più ampie rispetto alla porzione di carena conservata. Accanto alla barca è esposto lo straordinario dritto di prora in legno a forma di testa di serpente dipinta in rosso, che trova numerosi confronti in affreschi pompeiani, anch’esso rinvenuto nella stessa area della barca, insieme a un timone in legno e sei remi, sempre riconducibili ad imbarcazioni da pesca, a un rotolo di corda e a una rete da pesca con numerosissimi pesi da rete in piombo. Lo stesso contesto ha restituito l’eccezionale argano verticale in legno esposto in mostra, tecnicamente definito «cabestano», che veniva probabilmente utilizzato per tirare in secca le barche, e che conserva ancora gli incassi per le assi di manovra e le ali verticali per la raccolta della corda.
Da questa sala due piccole passerelle attraversano un ambiente pavimentato con mosaici, suggerendo l’attraversamento di un fiume metaforicamente disegnato da una proiezione a pavimento, in cui scorrono, spinte dalla forza della corrente, brevi frasi e parole che, da un lato, richiamano la sfera di sacralità del bosco, dall’altro evocano poeticamente attrezzi, oggetti e figure legate al tema della lavorazione e trasformazione della preziosa materia lignea. È l’approdo verso una dimensione diversa, più simbolica, intima e magica, verso il luogo da cui proviene la materia, il bosco. Infatti, nell’ultima sala, la più ampia del percorso, che accoglie oggetti di mobilio e suppellettili in legno di rara bellezza, per evocare l’origine dei reperti, le teche sono collocate all’interno della ricostruzione stilizzata di un bosco in orario notturno, con proiezione, nel centro del soffitto, delle costellazioni e della Via Lattea. Nella radura che apre allo sguardo il cielo, un confortevole divano permetterà la sosta e la visione delle frasi evocative che si andranno a comporre tra le stelle. A conclusione della mostra, una proiezione multipla consente l’ultimo suggestivo apprezzamento dei reperti, con le immagini che scorrono ritmicamente sui sei monitor in un gioco coordinato tra visione d’insieme e particolari. Le iscrizioni dei loro nomi in italiano, latino ed inglese e i suoni che evocano la funzione dei singoli oggetti completano l’ultima suggestione del percorso.