(di Achille Della Ragione) –
L’isola di Procida, di origine vulcanica, è situata tra Ischia ed il promontorio di Miseno ed è posta al limite occidentale del golfo di Napoli. Il rilievo più elevato è rappresentato dalla collina di Terra Murata (91m), sovrastata da un borgo fortificato di origine medioevale (fig.1). L’isola si trova a una distanza minima dalla terraferma di circa 3,4 km (Canale di Procida) ed è collegata da un piccolo ponte alla vicina isola di Vivara. Le sue coste, in alcune zone basse e sabbiose, altrove a picco sul mare, danno vita a diverse baie e promontori che offrono riparo alla piccola navigazione e hanno permesso la nascita di ben tre porticcioli sui versanti settentrionale, orientale e meridionale dell’isola.
Dal punto di vista geologico, l’isola è completamente di origine vulcanica, nata dalle eruzioni di almeno quattro diversi vulcani (databili tra 55.000 e 17.000 anni fa), oggi completamente spenti e in gran parte sommersi. Per modalità di formazione e morfologia, l’isola di Procida si avvicina dunque moltissimo alla zona dei Campi Flegrei, di cui fa geologicamente parte. L’isola è infatti formata principalmente da tufo giallo e per il resto da tufo grigio, con tracce di altri materiali vulcanici quali, ad esempio basalti.
Il legame con i vulcani sottomarini è ricordato da Plinio, secondo il quale il nome deriverebbe dal verbo greco prochyo, in latino profundo: l’isola sarebbe stata infatti profusa, messa fuori, sollevata dal fondo del mare o dalle profondità della Terra.
In precedenza Dionigi di Alicarnasso, nel suo Archeologia Romana volle far derivare il nome da quello di una nutrice di Enea, da lui qui sepolta quando vi approdò. Secondo il mito greco qui avvenne inoltre la lotta tra i giganti e gli dei (fig.2), e come Tifeo e Alcioneo (fig.3) finirono rispettivamente sotto il Vesuvio e Ischia, così Mimante fu posto sotto l’isola di Procida.
Recenti ritrovamenti archeologici sulla vicina isola di Vivara (un tempo collegata a Procida) fanno ritenere che l’isola fosse già abitata intorno al XVI – XV secolo a.C., probabilmente da coloni Micenei (fig.4).
Sicuramente, intorno al secolo VIII a. C . Procida fu abitata da coloni Calcidesi dell’isola di Eubea; a questi subentrarono in seguito i Greci di Cuma, la cui presenza è confermata sia da rilevamenti archeologici che dalla toponomastica di diversi luoghi dell’isola.
Durante la dominazione romana, Procida divenne sede di ville e di insediamenti sparsi sul territorio; sembra comunque che in questa epoca non esistesse un vero e proprio centro abitato: l’isola fu più probabilmente luogo di villeggiatura dei patrizi romani e di coltura della vite. Giovenale, nella terza delle sue Satire (fig.5), ne parla come di un luogo atto ad un soggiorno solitario e tranquillo.
Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, l’isola subì le devastazioni dei Vandali e dei Goti; non cadde invece mai in mano longobarda, rimanendo sempre sotto la giurisdizione del duca bizantino (poi autonomo) di Napoli, nel territorio della Contea di Miseno.
In quest’epoca l’isola cominciava intanto a mutare radicalmente la sua composizione demografica, divenendo luogo di rifugio per le popolazioni in fuga dalle devastazioni dovute all’invasione longobarda prima e, in seguito, alle scorrerie dei pirati saraceni. In particolare, sembra che l’isola abbia accolto le ultime popolazioni in fuga dal porto di Miseno, distrutto dai Saraceni nell’850. Tuttavia, un documento databile tra il 592 e il 602 riguardante un tributo in vino lascia intuire come già in questa epoca esistesse sull’isola un insediamento stabile.
Mutava radicalmente anche l’aspetto dell’isola: al tipico insediamento “diffuso” di epoca romana faceva posto un borgo fortificato tipico dell’età medievale. La popolazione si rifugiò infatti sul promontorio della Terra, naturalmente difeso da pareti a picco sul mare e in seguito più volte fortificato, mutando così il nome prima in Terra Casata e poi in quello odierno di Terra Murata.
Con la conquista normanna del meridione d’Italia, Procida sperimentò anche il dominio feudale; l’isola, con annessa una parte di terraferma (il Monte di Miseno, poi detto Monte di Procida), venne assoggettata alla famiglia di origine salernitana dei Da Procida (che dall’isola presero il nome), che controllarono l’isola per oltre due secoli. Di questa famiglia l’esponente di maggior spicco fu sicuramente Giovanni Da Procida, terzo (III) con questo nome, consigliere di Federico II di Svevia e animatore della rivolta dei Vespri Siciliani (fig.6). Durante la guerra del Vespro l’isola fu infatti controllata dalla flotta del re aragonese di Sicilia ben 14 anni, dal 1286 al 1299, pur subendo diversi assedi da parte degli angioini di Napoli, che riuscirono a rientrare a Procida solo quando, dopo la morte di Giovanni da Procida, il suo figlio secondogenito, Tommaso da Procida, passò nel campo angioino.
Nel 1339, comunque, l’ultimo discendente dei Da Procida vendette il feudo (con l’isola d’Ischia) alla famiglia napoletana dei Cossa, famiglia di ammiragli fedele alla dinastia francese dei D’Angiò, allora regnante su Napoli. Dei Cossa, esponente di maggior rilievo fu Baldassarre Cossa (fig.7), eletto antipapa nel 1410 con il nome (poi ignorato nella storiografia vaticana) di Giovanni XXIII.
In quest’epoca l’economia dell’isola rimaneva sempre prevalentemente legata all’agricoltura, con una lenta crescita delle attività legate alla pesca.
Durante la dominazione di Carlo V a Napoli l’isola fu confiscata all’ultimo Cossa e concessa in feudo alla famiglia dei d’Avalos d’Aquino d’Aragona (1529) fedele alla casa d’Asburgo. Il primo feudatario fu appunto Alfonso d’Avalos (fig.8), marchese del Vasto e generale di Carlo V, cugino di Fernando Francesco d’Avalos. Continuavano intanto anche in quest’epoca le scorrerie dei pirati saraceni, accentuate ulteriormente dalla lotta tra gli Ottomani e l’impero spagnolo. Molto documentata e cruenta in particolare fu l’incursione del 1534, ad opera del pirata Khayr al Din, detto il Barbarossa (fig.9), conclusasi con devastazioni e con un gran numero di Procidani deportati come schiavi, e che volle poi ripetere l’impresa nel 1544.
Il suo successore, Dragut (fig.10), fece sì che l’isola fosse nuovamente devastata nel 1548, nel 1552, nel 1558 e nel 1562. Un’ulteriore incursione barbaresca è documentata nel 1585.
Testimonianze di questo periodo sono le torri di avvistamento sul mare (fig.11), diventate in seguito il simbolo dell’isola (fig.12), una seconda cinta muraria attorno al borgo della Terra Murata e l’inizio della costruzione nel 1563 del Castello D’Avalos (fig.13), ad opera degli architetti Giovan Battista Cavagna e Benvenuto Tortelli. Un miglioramento delle condizioni di vita nell’isola si ebbe tuttavia solo dopo la battaglia di Lepanto che ridusse di molto le attività della marina ottomana nel Mediterraneo occidentale, permettendo, finalmente, la nascita nell’isola di un’economia legata alla marineria.
Nel XVII secolo l’isola venne occupata dalla flotta francese comandata da Tommaso Francesco di Savoia, sullo sfondo delle vicende legate alla rivolta di Masaniello e della nascita della seguente Repubblica.
Con l’avvento dei Borbone nel Regno di Napoli, nel 1734, si aveva intanto un ulteriore miglioramento delle condizioni socio economiche dell’isola, dovuto anche all’estinzione della feudalità nel 1744 per opera di Carlo III, che inserì Procida tra i beni allodiali della corona, facendone una sua riserva di caccia.
In questo periodo la marineria procidana si avvia verso il suo periodo di massimo splendore, accostando a questa anche una fiorente attività cantieristica: fino a tutto il secolo successivo, vengono varati nell’isola bastimenti e brigantini che affrontano la navigazione oceanica; verso la metà del XIX secolo circa un terzo di tutti i “legni” di grande cabotaggio del meridione d’Italia proviene da cantieri procidani (fig.14).
La popolazione ascende fino ad un massimo di circa 16000 persone sul finire del XVIII secolo, ovvero circa una volta e mezza la popolazione attuale.
Nel 1799 Procida prende parte alle sommosse che portano alla proclamazione della Repubblica Napoletana; con il ritorno dei Borbone, pochi mesi dopo, dodici Procidani, tra i più influenti e in vista dell’isola, vengono impiccati per questo nella stessa piazza dove era stato issato l’albero della libertà.
Negli anni successivi (e in particolare nel “decennio francese”), l’isola vede diverse volte la guerra passare sul suo territorio con pesanti scontri e devastazioni, a causa della sua basilare posizione strategica nella guerra sul mare, contesa tra Francesi e Inglesi; le cronache riportano che nel solo 1809 circa 4000 persone abbandonarono l’isola al seguito delle navi inglesi sconfitte al termine della sesta coalizione antifrancese.
Anche per questi motivi, nel 1860 la caduta dei Borbone e l’unificazione italiana vengono accolte favorevolmente dalla popolazione.
Il XX secolo vede la crisi irreversibile della cantieristica procidana, sotto la concorrenza dei grandi agglomerati industriali: l’ultimo grande brigantino procidano viene varato nel 1891.
Nel 1907 inoltre, Procida, a seguito di un referendum, perde il suo territorio di terraferma, che diventa un comune autonomo denominato Monte di Procida.
Nel 1957 l’isola viene raggiunta dal primo acquedotto sottomarino d’Europa, mentre negli ultimi decenni, la popolazione, fino agli anni Trenta decrescente, comincia lentamente a risalire.
L’economia rimane in gran parte legata alla marineria accanto alla crescita, negli ultimi anni, dell’industria turistica, che esploderà fragorosamente nel 2022, grazie alla proclamazione di Procida capitale della cultura.