di Fabio de Paulis
No caro Orsato, così non va bene. Il Suo errore fu così eclatante e ridicolo da giustificare, da parte della stampa prezzolata, quanto è insipiente l’ammissione tre anni dopo. In genere dopo uno sbaglio si chiede scusa. Ma la domanda a chi si dovrebbe chiedere scusa? Dato per scontato che andrebbero fatte al Napoli, alla città di Napoli e ai tifosi del Napoli, comunque mai accettate e mai accettabili; le scuse andrebbero fatte all’intero mondo del calcio, implorando anche un perdono, che mai arriverà. Perché quell’errore ha legittimato uno scudetto che non si doveva assegnare a chi lo ha vinto, perché quell’errore è stato solo uno dei tanti che per dieci anni hanno fatto credere che chi vinceva fosse davvero forte. Perché, in virtù di quell’errore credendo che fossero forti quelli che ne hanno beneficiato, sono stati prodotti più danni alla Nazionale di quanti ne ha subiti l’Inghilterra quando fu squalificata da ogni competizione dopo i fatti dell’Heysel, per sei lunghi anni. Due eliminazioni al primo turno della fase finale dei mondiali e una mancata qualificazione nell’ultimo disputato in Russia 2018.
Un’intera generazione che non ha potuto comprendere realmente cosa siano i mondiali di calcio. Perché quell’andazzo di errori arbitrali in serie, sempre a favore della stessa squadra, ammazzava i campionati per cercare di fare arrivare in finale di champions, sempre la medesima squadra. Finali puntualmente e malamente perse, perché quella squadra non lo meritava e perché semplicemente non era la più forte. Perché mentre il Napoli di Sarri dava spettacolo e vinceva, giocando al calcio, un calcio che faceva divertire anche chi perdeva e che non ci si stancava mai di guardarlo, chi vinceva, illegittimamente, replicava lo squallido slogan: “che vincere è l’unica cosa che conta.” Sorretto da una stampa incompetente e faziosa. Nel frattempo i tifosi del Paris Saint German e quelli del Liverpool e quelli del Dortmund e chissà quanti altri ancora, attratti dal pianeta Napoli, cantavano nella loro lingua, Un giorno all’improvviso, cercando di imitare quell’isola felice. Da dieci anni nessuna squadra italiana vince in Europa, della nostra nazionale abbiamo già detto, dei debiti in cui versano i maggiori club italiani per questa politica miope e scellerata si è perduto il conto, occultati da bilanci dopati e improbabili plusvalenze, ed infine del disinteresse in cui è piombato il calcio italiano, parlano le disdette a pioggia alle piattaforme che lo propongono in tv.
Sarri a modo suo si è riscattato vincendo in Inghilterra, mentre con quella squadra che gli aveva scippato lo scudetto insieme al suo Napoli due anni prima, si è riscattato con ingaggi milionari, ma soprattutto con la soddisfazione di rinfacciargli due paroline chiave: “Come ho fatto a perdere uno scudetto con voi” e “Questa squadra è inallenabile”. Ma il calcio italiano no, quello non si è potuto riscattare sul piano del gioco, dell’appeal, della credibilità, dopo l’interesse suscitato dal mondo esterno che era piovuto sul pianeta Napoli indotto allo sfascio. Il simbolo andava distrutto, annientato, mai replicato, come lo è stato quello di Maradona, per non fare alzare la testa alla città di Napoli che nei suoi simboli riesce sempre a trovare una ragione di riscatto. Nell’ultimo turno di champions gli arbitri internazionali hanno fatto scempio delle squadre italiane. Si è gridato al complotto, si è urlato “vogliono farci fuori”, come se ci fosse una mafia e come se gli arbitri fossero i suoi sicari. Ecco perché non potrà mai ricevere il perdono dal mondo del calcio, perché è apparso, in quella triste serata del Meazza, come un sicario. E quando i sicari si pentono, già sanno che il perdono non gli verrà concesso. Sig. Orsato Lei, ha ucciso il calcio e per questo non vi è perdono.