di Marco Martone
Durante la cerimonia di consegna del tesserino da professionista per Giancarlo Siani, il direttore del Mattino, Federico Monga, oggi alla guida del quotidiano per il quale Siani lavorava, da abusivo, ha ammesso l’errore commesso a suo tempo, di non assumere il cronista. Circostanza che, in verità, si è ripetuta molte altre volte negli anni successivi e che ancora oggi vede (in tutta Italia) decine di giornalisti abusivi, sfruttati, sottopagati e con la chimera di un’assunzione che non arriverà mai. Bravo Ottavio Lucarelli a sottolinearlo con forza. In tal senso l’esempio di Siani non è servito a nulla.
Giancarlo, forse, non sarebbe stato mai assunto. E l’episodio dell’incontro in ascensore con il direttore dell’epoca, che gli assicurava il prossimo contratto lasciamolo alle scene dei film. Siani era quello che saremmo diventati, negli anni successivi, tanti di noi. Sfruttati, illusi, pagati poco, mandati allo sbaraglio. Quelli che scrivevano articoli che non uscivano, oppure uscivano con la firma del redattore di turno o al massimo con quella sigla. Le iniziali del nostro nome e cognome, che rappresentavano una beffa, un oltraggio alla nostra passione alla nostra voglia di leggere la firma sotto il pezzo, scritto il giorno prima.
Oggi Giancarlo riderebbe, beffardo, delle tante parole dette sulla sua storia di cronista abusivo, sulle “ferite rimarginate” di un giornalismo fatto di prevaricazione, nepotismo, ingiustizie e pugni nello stomaco. Con Giancarlo Siani morirono tante bugie e molte presunte verità. In quella Mehari, che oggi viene fatta viaggiare sulle strade italiane come simbolo di lotta all’ingiustizia, restarono riverse, col capo chino, troppe emozioni, sogni infranti e voglia di emergere mortificata dalla politica del più forte o semplicemente del più raccomandato. Usare il nome di Siani per ripulirsi la coscienza è un delitto che non merita la lunga schiera di ex ragazzi, oggi uomini, che in questo mestiere hanno creduto e che hanno avuto il torto di credere anche in tante persone, che adesso parlano di giustizia e che in passato voltavano le spalle.